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Periferia romana: in una palazzina popolare si intrecciano le vite difficili di quelli che una volta si sarebbero definiti “borgatari”. Ci sono Sabrina e Gianfranco: lei aspetta una figlia che nasce prematura e dopo dieci giorni in incubatrice muore; lui spaccia cocaina ai pesci piccoli, ed anche durante quei dieci giorni in cui rimane incollato al lettino della figlia che lotta contro la morte è costretto a dire di no ai tanti tossici che lo chiamano per la dose. Poi tenta di fare carriera unendosi ad un grosso spacciatore del Pigneto... C’è Attilio, ex tipografo a Corso Francia, che stampava libri d’arte; ma perde casa giocando ai cavalli, ne occupa una a Tor Bella Monaca ma viene lasciato solo da moglie e figli, che non lo seguono. E cosi inizia a fare rapine e a pippare cocaina... C’è Bruno, ultrà romanista che si esalta raccontando gli scontri tra frange opposte di tifosi alle quali ha partecipato tante volte, e che non vede l’ora di tornare a combattere perché ora è “diffidato” dal poter frequentare lo stadio... C’è Francesca, paraplegica perché appartenente a quell’ultima, sfigata generazione degli anni 50 che era ancora colpita dalla poliomelite e che non ha mai potuto camminare in vita sua... E poi Marcello, Eugenio, Flaminia: tutti accomunati dai loro destini segnati, dalle loro esistenze senza speranza, periferiche, marginali, violente.
E’ un percorso letterario difficile, quello intrapreso da Walter Siti in questo romanzo dalle forti tinte pasoliniane. Perché come i romanzi del suo (e nostro) maestro Siti costruisce personaggi inventati calati in un'ambientazione drammaticamente reale: quella appunto delle periferie romane, dove sembra mettere una telecamera nascosta per riprendere le vite quotidiane di quelli che sono stati “i ragazzi di vita” del maestro e che oggi per gran parte dell’opinione pubblica sembrerebbero non esistere più. Invece Siti li riporta sotto la sua lente di ingrandimento, ne prende a prestito il linguaggio forte, la violenza innata e dettata dal contesto, la sessualità animalesca, l’illegalità acquisita come normale regola di vita. E ne traccia un quadro disarmante, ribaltando l’appassionata analisi che Pasolini aveva tracciato oltre 30 anni fa: “non sono le borgate che si stanno imborghesendo, ma è la borghesia che si sta inborgatando”. Forse le due tesi non sono poi cosi contrapposte, perché sia quel proletariato urbano che aveva analizzato Pasolini sia questa moderna borghesia cittadina sono entrambi state risucchiate in un terreno comune di sabbie mobili. Un terreno dove sono decaduti i valori, divenuti gli stessi per entrambi; dove la televisione ed il suo linguaggio sempre più povero ha finito per spegnere i cervelli e massificarli in aspettative banali e comuni; dove l’illegalità e la prepotenza premiano e l’onestà penalizza, sia che si è il bullo di periferia che risolve con la violenza le sue dispute quotidiane, sia che si è il piccolo o grande potente di turno (magari un politico) che ha mezzi e conoscenze per aggirare la legge e farla sempre franca. E più è il nichilismo si diffonde, più il mondo borghese perde il possesso di quella che una volta era la sua arma, e cioè la cultura, più “i borgatari guadagnano posizioni, possono diventare avanguardia”, sostiene correttamente Siti.
Operazione difficile, dunque, ma riuscita: non solo nella costruzione dei personaggi credibili perché di fatto esistenti anche se inventati; ma anche e soprattutto nella splendida ricostruzione geografica che l’autore fa con una mappatura della nuova Roma, con le sue nuove e dilaganti periferie, i suoi scempi edilizi, i suoi nuovi e disumani centri commerciale. Una mappatura etnica, che ci racconta come negli ultimi anni le periferie comincino ad essere abitate da extracomunitari e rumeni, altri esclusi, altri emarginati, altra gente senza speranza; ed una mappatura politica, dove tutti i personaggi del libro, tranne Francesca la paraplegica ma compresi i rumeni che andranno ad abitare nella palazzina ricordata all’inizio, sono tutti rigorosamente di destra. E questo è elemento di profonda riflessione, dato che 30 anni fa, all’epoca in cui quegli ambienti erano raccontati da Pasolini, quel terreno di disagio sociale era il naturale e fertile terreno della sinistra...
Operazione difficile, dunque, perché non facilmente commercializzabile, soprattutto in questi tempi di vuoto culturale e di attenzione prevalentemente al gossip di basso livello. Ma necessaria ed utile, soprattutto per quelli che da troppi anni a questa parte fanno finta di vivere in un mondo ovattato, che sembra ignorare non soltanto l’esistenza drammatica delle borgate e del loro quotidiano vivere difficile, ma anche un lento ed inesorabile degrado ed imbarbarimento del nostro vivere “civile”. “Le borgate sono il nostro domani ma il domani non si deciderà in borgata; qui è l’arsenale del futuro ma gli ingegnere abitano nelle acropoli. Questa non è che una sterminata sala d’attesa, una folla brulicante alla fermata delle astronavi”. E purtroppo la sensazione sempre più forte è che siamo tutti in quella sala d’attesa e facciamo parte di quella folla brulicante. Oltre 30 anni fa neanche una voce autorevole come quella di Pasolini ci mise in guardia dal farci uscire dalla folla e provare a guidare quelle astronavi in una direzione diversa. Speriamo di non ripetere l’errore con la voce di Walter Siti, che dobbiamo comunque ringraziare per aver gettato un nuovo sasso nello stagno piatto della coscienza sociale di questi anni.
Articolo del
08/02/2010 -
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