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Probabilmente, nella vita di ogni persona, in qualsiasi parte del mondo, esiste una data a cui si lega un ricordo indelebile, che nel bene o nel male rimarrà impresso per sempre. Il 6 aprile del 2009 è una data che rimarrà tragicamente impressa per sempre nella vita di almeno 65.000 persone. Una città “da sempre invisibile, silenziosa, sgabuzzino. Mai alla ribalta, mai popolare, rassegnata ad una decadenza ed immobilità che sembravano inesorabili.” Invece la notte del 6 aprile, quella stramaledetta notte del 6 aprile, quella città fino ad allora cosi discreta si trova suo malgrado improvvisamente alla ribalta di tutti i notiziari. Eppure quel terremoto, che ha sconquassato quella bellissima città sovrastata dalla maestosità del Gran Sasso, non è arrivato senza bussare. Aveva bussato, eccome, centinaia di volte: aveva bussato forte, fortissimo, e non solo alle porte, ma fin dentro quelle case che poi con furia cieca ha deciso di distruggere. Cosi, da quella stramaledetta notte del 6 aprile, L’Aquila, da città silenziosa, si è trasformata nella città più rumorosa per mesi e mesi: rumorosa per le polemiche, per gli elogi a soccorsi e soccorritori e per il ridimensionamento di quegli elogi, per l’efficienza della protezione civile e per la sua inefficienza, per la trasparenza dell’informazione e per gli sciacallaggi giornalistici. Insomma, rumore per il tutto e il contrario di tutto.
Ma Raffaella De Nicola era li: perché in quella città ci viveva, ci aveva sempre vissuto. E per fortuna non solo è sopravvissuta, ma ci ha regalato una splendida testimonianza che supera tutte quelle inutili, sterili e faziose polemiche del dopo terremoto. Raffaella ci prende per mano e ci porta a passeggiare per quella città, prima e dopo il terremoto. E per farlo l’autrice sceglie il doppio sguardo di una ragazza, che segue dall’adolescenza fino alla maturità di donna, e quello stesso dell’autrice, cioè di una mamma con 2 figlie che si trova ad affrontare il mostro. Cosi, attraverso l’adolescente Sara, che ha fretta di crescere per potersi finalmente sentire una donna, emerge con semplicità esemplare l’immagine tipica di molte province italiane: una città con le sue normali contraddizioni, dove se da una parte si avverte il forte senso di comunità, dall’altra si manifesta quella scarsa mobilità sociale (un male che in realtà è diffuso nell’italia intera) che rende chiuse tra di loro le classi e impedisce veri rapporti umani tra persone di diversa estrazione sociale. Ci fa sentire dentro quella città, in quei cortili, in quelle case, in quelle piazze; ce ne fa ascoltare i silenzi, ci fa respirare la fredda aria montana del Gran Sasso che la domina. Non c’è pietismo, non c’è ricerca di facile consenso, non c’è vittimismo: c’è amore per i luoghi in cui si è nati, c’è coscienza di quanto si è fortunati a poter vivere in una dimensione più che umana, c’è obiettività e addirittura ironia nel raccontare quel luogo,la sua gente e le sue dinamiche sociali. Magistrale a questo proposito la catalogazione in “gironi” che rappresentano le caste di cui si compone la comunità aquilana...
C’è soprattutto voglia di capire: capire cause e colpe di quanto è successo. Perché se è vero che “sulle cause naturali di questo enorme cataclisma non possiamo far altro che chinare il capo ammutoliti”, le colpe sono invece “bestialmente umane” e su questo non possiamo e non dobbiamo tacere. Su queste colpe la comunità aquilana non può essere lasciata sola: tutti noi dobbiamo unirci al grido di dolore e di giustizia lanciato da Raffaella e da 65.000 reduci di “una terza guerra mondiale”. Perché è dovere di una comunità civile non solo dare solidarietà a chi è colpito negli affetti, a chi dall’oggi al domani si trova senza casa, senza lavoro, spesso senza i propri cari; è dovere di una comunità civile sapere perché certe tragedie, pur evitabili, accadono ugualmente; e non solo perché conoscere la verità può evitare che quelle tragedie possano accadere di nuovo, ma perché chi da quelle tragedie è stato colpito deve poter avere giustizia, affinché in una comunità civile possa finalmente prevalere un senso morale e un senso delle regole da rispettare. Dobbiamo cercarla tutti insieme, aquilani e non, la verità. Ed è per questo che non ci devono bastare quelle immagini televisive spesso filtrate o quei reportage giornalistici troppo superficiali. Dobbiamo andare oltre, e dobbiamo capire fino in fondo che cosa voglia dire vivere una tragedia simile. Altrimenti ci accontenteremo di quello che ci fanno vedere alla televisione, e saremo complici della tragedia.
Oggi, con questa piccola grande testimonianza di Raffaella Di Nicola, abbiamo l’opportunità di andare oltre. E non possiamo perderla!
Articolo del
19/03/2010 -
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