“Il festival una striscia di terra feconda 2021 è dedicato alla libertà di parola e di musica, a tutti i popoli oppressi con particolare riguardo alle donne afghane”
Il mio primo concerto di questa XXIV edizione del festival Una Striscia di Terra Feconda è stato un potente memorandum alla straordinaria capacità che ha la musica di emozionare l’anima. Un’ideale sublime questo, ben divulgato, nella serata del 7 settembre 2021, dalle parole dei due direttori artistici del “festival franco-italiano di musiche improvvisate”, ovvero Paolo Damiani (docente, compositore, musicista) ed Armand Meignan (presidente del festival di Le Mans e direttore del festival di Nantes).
L’idea è sempre stata quella di far incontrare musicisti italiani e francesi che non si sono mai incrociati in ambito professionale per dare vita a delle piccole e grandi scintille “improvvisate” di musica inedita, privilegiando l’uguaglianza di genere, i giovani talenti, il rischio dettato dal far dialogare suoni ai margini della catalogazione di genere. Ma è proprio questa, credo, la bellezza di questo progetto. Il proporre con coraggio una commistione dal sapore speziato, pregiato, attraverso un linguaggio musicale che vada sempre a guardare “oltre”, senza paura.
I due gruppi di questa serata Go to the dogs! (Aristide d’Agostino tromba / Arnaud Edel chitarra / Thibaud Thiolon sassofoni, clarinetto / Samuel Foucault basso / Jean-Emmanuel Doucet batteria) e Claudio Fasolisax / Nguyên Lê Quartet (Claudio Fasolisax / Nguyên Lê chitarra / Paolino Dalla Porta contrabbasso / John Hadfield batteria), ne sono ideale espressione “estrema”. Questo perché tutti e due, a cominciare dal quintetto guidato da D’agostino alla tromba, hanno dato sfoggio di un’attitudine rock marcata e coinvolgente. In prima nazionale ed originario di Le Mans la band con Aristide d’Agostino alla guida cattura immediatamente l’ascoltatore in un turbine frenetico in cui la raffinatezza del jazz sposa l’irruenza spigolosa del rock classico.
Un’esibizione notevole ed un post-it alla memoria futura, sperando di poter nuovamente ascoltare questi ragazzi in altre occasioni e venue. Spiace constatare la poca affluenza di pubblico ma, pandemia a parte, è il rischio “calcolato” di questo festival a cui si accennava prima. Rapido cambio di palco ed ecco sulla scena la seconda formazione della serata, con Claudio Fasoli e Nguyên Lê, protagonisti assoluti di una performance incredibilmente avvincente. Un’emozione palpabile si evince già dalla voce calda e dalle parole dello stesso Fasoli mentre presenta la setlist a venire.
C’è ammirazione, orgoglio, verso i suoi compagni accanto a lui ma anche nei confronti di chi ha lasciato per una sera ogni ombra al di fuori ed ha attraversato il cancello di Villa Osio, barattando così un paio d’ore della propria vita con un ammontare equivalente di note e libertà. Si alternano brani dello stesso Claudio con quelli di Le e vengono così a galla le differenze stilistiche tra i due repertori ma anche tutta la forza e la magia di questa unione artistica d’eccellenza. In alcuni frangenti, come per l’esibizione precedente, l’aria si tinge di vibrazioni taglienti date dagli assoli elettrizzanti di Nguyen in concomitanza, o in assenza momentanea, del sax di Fasoli e della precisione ritmica di Paolino Dalla Porta e John Hadfield.
Non si potrà mai essere abbastanza riconoscenti verso coloro che sospingono nel mondo progetti di questo calibro, ma alle volte le parole non sembrano dover essere necessarie. Basta la propria presenza, il proprio calore.
Ed un arrivederci condito d’applausi sul finale, con gli occhi e le orecchie già proiettati al prossimo incontro “improvvisato”.
Articolo del
09/09/2021 -
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