(foto di Viviana Di Leo) “That’s Not Entertainment”, questa l’idea di base che mi ha accompagnato per l’intera durata del concerto degli Swans di Michael Gira che si sono esibiti all’Auditorium di S.Domenico, a Foligno. Parafrasare “That’s Entertainment”, noto brano di Paul Weller, mi è sembrato l’unico modo possibile per spiegare a quanti abbiano voglia di capire che cosa è stata - e che tipo di coinvolgimento abbia comportato - una “live performance” degli Swans. Non si è trattato di intrattenimento, sappiatelo bene.
E se intrattenimento è quello che volevate, ebbene cercate altrove. Le occasioni non mancano, credetemi. Ritornare al cospetto degli Swans di Michael Gira è stata una esperienza mistica, un luogo della mente, un posto dell’anima, in cui il corpo trascende, viene condotto altrove, dopo essere stato esposto a rintocchi sonori tali da procurare una alterazione psichica. Una dimensione diversa, ma totalizzante, in cui desideri e paure confluiscono, dove le menzogne si azzerano per far posto ad un fragore cosmico dal quale emerge un io diverso, più maturo, più consapevole, semplicemente perché ha attraversato la sofferenza (e rischiato la sordità). Dicevano che gli Swans erano finiti.
No, non era così. Michael Gira ha cambiato idea e durante la pandemia ha pensato di mettere di nuovo insieme la band per registrare a Berlino un album come ”The Beggar”, un disco molto bello, in cui una chiave acustica malinconica convive con il “noise-rock” più estremo. La serata viene aperta dall’esibizione del chitarrista Norman Westberg, ex- componente del gruppo: trenta minuti di sonorità “ambient” molto minimali, ispirate alla musica “dark”. Poco dopo però salgono sul palco Michael Gira e i suoi Swans: due note di chitarra acustica echeggiano in un silenzio quasi irreale. Gli stessi accordi vengono ripetuti più volte, e poi ancora, mentre cresce nel frattempo l’apporto degli altri musicisti del gruppo che riescono a creare intorno a quella struttura armonica molto semplice un clangore indicibile, una sorta di crescendo ipnotico devastante dove chitarre elettriche, sintetizzatori, basso, percussioni e batteria mettono subito a dura prova l’udito dei presenti.
No, non scappate. Restate pure seduti. Si tratta soltanto della “breve” introduzione a “The Beggar”, “title track” del nuovo album, una agghiacciante esecuzione di quaranta minuti, propedeutica al canto di Michael Gira. Canto? Beh, niente di melodioso intendiamoci. Grida laceranti lanciate verso il Cielo in uno stato alterato fatto di disperazione e di malessere “Sono stanco di leccare il tuo sputo/ Ma chi sono io? Quella testa di cazzo che non è hai mai perdonato/ L’estraneo che vedi al tuo specchio/ Un guanto senza che ci sia una mano/ Una nave vuota, una poesia mai scritta? / Il mio amore per te non finirà mai/ ma quando imparerò a vivere?” La versione “live” è parente lontana del brano presente sul nuovo disco: le parole vengono urlate, ma le sillabe sono dilatate, hanno una cadenza lenta, che ne esaspera la pesantezza e il significato. Il modo di cantare di Michael Gira si avvicina molto alle cerimonie rituali dell’Antica Asia, ai “raga” indiani, oppure ai canti religiosi di ispirazione sufi o ancora ai salmi della liturgia cristiana.
Il tutto all’interno di una atmosfera ipnotica che prosegue per tutto il concerto, resa ancora più tesa dal “wall of sound” impenetrabile che propone la band. Siamo davanti ad un gruppo post-punk o piuttosto a musicisti che avvertono ancora l’influenza dei gruppi “no wave” che si sono sviluppati negli Stati Uniti nei primi anni Ottanta? Poco importa. Il frastuono è totale e l’Auditorium di San Domenico - per quanto sconsacrato e scelto appositamente per quei soffitti a volta capaci di accogliere interventi vocali e suoni ad alta frequenza - sembra esplodere. Chiudo gli occhi, provo a non pensare, a farmi guidare da quanto sto ascoltando e vedo una schiera di angeli e di diavoli cadere insieme sopra la mia testa. Sono posseduto? Sono arrivato in Paradiso? No, ancora no. Di certo però mi sento come attanagliato, prigioniero della sedia che mi è stata assegnata, almeno fino a quando Michael Gira ci invita a lasciare i nostri posti e a venire sotto palco. “Io vi amo tutti, vi voglio qui vicino!”. I brani in scaletta non sono poi molti, ma la durata degli stessi e ampliata fino all’inverosimile.
La “performance” degli Swans è risultata essere di due ore e mezza, che sono trascorse intensamente, senza interruzioni e convenevoli. Michael Gira non è il tipo, il suo passato e il suo presente ci dicono chiaramente che è quanto più lontano ci possa essere da una “rock star”. C’è un senso di claustrofobia, di ossessione e di ansia esistenziale in brani come “The Hanging Man”, “The Memorious“ e “No More Of This”, una ballata psichedelica che sembra provenire dal catalogo dei primi Velvet Underground. Le storie fragorose e potenti raccontate dagli Swans non sono quasi mai autobiografiche, ma il risultato di una accurata indagine fatta da Michael Gira sulle storture della civiltà Occidentale e sul senso di soffocamento che attanaglia quanti hanno provato a farne parte.
Il concerto è risultato quanto mai compatto, una sorta di tempesta sonora fatta di saliscendi continui, fra tonalità alte e basse. Direttore d’orchestra e “guru” della band Michael Gira, che non vuole saperne di invecchiare, che non abbassa il tiro, che tiene il volume degli amplificatori sempre sul rosso, cha ha sempre gli occhi chiusi quando canta. Lui è come in “trance” , noi invece siamo in estasi e vorremmo che non finisse mai. Sonorità turbolente e martellanti, miste a invocazioni ad un Dio di cui siamo figli, ma che sembra non volerci ascoltare.
Gli accenni melodici dei brani acustici vanno bene su disco, ma dal vivo hanno scarsa durata e risultano ingannevoli. Ormai la nostra dedizione è totale. Ondeggiamo la testa presi dal sacro furore che proviene dal palco, pronti ad assecondare le soluzioni ritmiche volutamente visionarie ed eccessive proposte dagli Swans. che sono tornati in Italia dopo dieci lunghi anni, che sono qui per noi. Eccoli.
Michael Gira: chitarra acustica e voce Kristof Hahn : chitarra elettrica Cristopher Pravdivca: basso elettrico Dana Schechter: chitarra basso, piano e tastiere Larry Mullins: percussioni Phil Puleo: batteria.
SET LIST Intro The Beggar The Hanging Man Ebbing The Memorious No More Of This Cathedrals Of Heaven Leaving Meaning Birthing
Articolo del
13/11/2023 -
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