Non è una frase scontata dire che la musica sia lo specchio della vita. Ne sa qualcosa John Grant che di questo assioma ne ha fatto il suo vessillo. I suoi dischi riflettono infatti il suo stesso universo interiore, la voglia di difesa e rivalsa nei confronti di un mondo familiare e sociale bigotto che non ha accettato la sua omosessualità. La musica come rifugio dunque, come espiazione, come espressione dell'Io più profondo, della sua vera essenza, come rovescio della medaglia del Sogno Americano.
Gli album di John Grant sono così, malinconici e intensi, immersi tra songwriting e synth, a partire dallo splendido esordio “Queen Of Denmark”, passando per “Pale Green Ghosts”, fino all'ultimo “Boy From Michigan”.
Anche nella dimensione live, nella cornice di un Monk con posti a sedere, immersi tra fumi di scena e luci soffuse e abbaglianti al contempo, la musica di questo dolce e ironico gigante con la barba, sprigiona questa magia, questa forza catartica e poetica.
Grant domina il palco, accompagnato ai synth e piano da Chris Pemberton, con quella sua forma vocale baritonale eccelsa, nascosto dietro la tastiera o in piedi di fronte al pubblico, creando la perfetta armonia tra le visioni cantautorali e quelle elettroniche, mentre i suoni si muovono immacolati e perfetti. Ed è proprio coi presenti che tra un brano e l'altro vuole instaurare una connessione, come un vecchio amico che si rivede dopo tempo, ricordando una sua data al Circolo degli Artisti oppure elencando, con un'ottima pronuncia, i detti e le ultime parole italiane che si è segnato sul suo cellulare. Così l'emozione e l'intensità dei sui pezzi, vengono alternate a una sorta di ironico e ideale dialogo a più voci col pubblico, tra i vari lemmi italiani annotati che sembrano quasi formare una frase compiuta: un “zuzzurellone” “a passo di lumaca”, mentre “piove sempre sul bagnato”.
Ad aprire il live ci pensa “TC & Honeybear”, seguita da “The Cruise Room” e “Where Dreams Go to Die”. E ancora “Grey Tickles, Black Pressure”, “Outer Space” e “Glacier”. “Don't know what to want from this world, I really don't know what to want from this world” il verso della bellissima “Queen Of Denmark” esplode cantata all'unisono col pubblico, quasi come quell'urlo liberatorio che il brano stesso custodisce, raggiungendo l'apice della serata e proseguendo con “Sigourney Weaver”. C'è spazio anche per un pezzo dei suoi Czars, “Drug”. Il bis è invece affidato a “Caramel” e “GMF”.
Un concerto che incarna le pulsioni più pure, oscure e fragili dell'esistenza, quelle di Joh Grant e le nostre, quelle fatte di paure, rabbia, ma anche di umorismo, perché in fondo questo “zuzzurellone” resta sempre “The greatest motherfucker”, con la sua voce e le sue parole taglienti e profonde come lame.
(foto di Beatrice Ciuca)
Setlist TC & Honeybear The Cruise Room Where Dreams Go to Die Grey Tickles, Black Pressure Touch and Go Is He Strange Outer Space Zeitgeist Marz Glacier Queen of Denmark Sigourney Weaver Global Warming Drug
Encore: Caramel GMF
Articolo del
19/11/2023 -
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