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Dietro il nome di Agadez, potente amuleto proprio della simbologia Tuareg, si cela l’identità di Giada Colagrande, attrice, regista e sceneggiatrice, che ha accettato la sfida di proporsi anche come interprete sulla scena discografica e musicale.
Si tratta di una sorta di dimensione parallela iniziata sette anni fa con il gruppo The Magic Door e un disco omonimo dedicato alla riscoperta della Porta Alchemica situata nei giardini di Piazza Vittorio a Roma.
Questa sera Agadez ha portato dal vivo, in versione “Unplugged”, le canzoni che sono entrate a far parte di Queendoms, album del 2024, centrato sui culti femminini arcaici. Un progetto sicuramente ambizioso, realizzato grazie alla collaborazione con Antonio Forcione, un abile chitarrista che ha rielaborato con stile le composizioni di Agadez.
Insieme a loro sul palco una band composta da Natalia Bacalov, al violoncello e alla voce, da Martin Sevrin, al basso, da Lucrezia Testa Iannilli, al bodhran e da Simone Pulvano, alle percussioni.
Schierate ai lati del Teatro Studio Borgna, ciascuna con il suo tamburo rituale, le ragazze che condividono con Agadez/Giada alcuni seminari sul percorso sciamanico. Il tema portante del concerto era il Culto primordiale della Grande Madre ed ogni brano veniva introdotto da Agadez che collocava le forme rituali in una serie di culture diverse. Abbiamo ascoltato così composizioni dedicate alla dea “Tanit” o a “Tara”, passando per “Isis”, “Aphrodite”, “Dana”, “Cibelle”, “Inanna”, “Ecate” e infine “Lilith”, la Luna Nera, portatrice di Tempesta e di Morte.
Particolare poi la presentazione di “Vacuna”, divinità italiana che presiede cavità oscure e acque profonde, la dea che governa il silenzio e che custodisce “l’essenza dell’assenza”. Una serata all’insegna della filosofia esoterica quindi che - dal punto di vista strettamente musicale – si è avvalsa del supporto di una “ethno music” contaminata da influenze folk e da suggestioni celtiche.
Unico appunto critico alla serata una evidente mancanza di proporzione fra contenuti molto seri ed importanti - come la natura visionaria della musica e del canto sciamanico - e le soluzioni armoniche scelte da Agadez.
I tamburi sacri, che avrebbero dovuto evocare tanto il “Fuoco che la Furia”, non venivano percossi, ma accarezzati, dalle ragazze del culto sciamanico, mentre le grida di sofferenza e di dolore, proprie di cerimoniali del genere, sono state sostituite da melodie evocative malinconiche, raffinate e di gusto, ma di certo private di quella sensazione di inquietudine e di disagio che tali esecuzioni comportano
Articolo del
20/12/2025 -
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