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Ivan Francesco Ballerini
“La guerra è finita” (RadiciMusic Records, 2025)
di
Domenico Capitani
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L’overture iniziale mi parla di libri antichi, scaffali in legno massiccio dentro una casa di campagna che prima accoglieva una vita di semplicità. Si nuove così questa prima traccia, una intro strumentale di sola chitarra acustica e la voce delicatissima di Lisa Buralli (co-protagonista in qualche misura di questo disco), composizione che in forma estesa ritroveremo in chiusa nel brano “Il mondo aspetta te”: sembra volermi anticipare un viaggio di delicatissima quiete e non di guerre e presagi di rinascite distopiche, tra macerie e distruzione. Ed infatti sarà proprio questo il clima che respirerò proseguendo l’ascolto de “La guerra è finita” il nuovo disco di Ivan Francesco Ballerini uscito proprio oggi per la RadiciMusic di Arezzo. E questa co-protagonista dicevamo: Lisa Buralli, che abbiamo conosciuto per le sue release con la Rusty Records, qui veste dei panni importanti e non solo come corista… avrà spazio anche da solista sempre senza mettere in ombra il “padrone di casa” che con questo disco dimostra ancora una volta quanta forza evocativa sa restituire alle parole. Dopo una breve militanza con la Long Digital Playing per il precedente album “Racconti di mare. La via delle spezie”, il cantautore toscano torna da dove era partito nel 2019 con il suo esordio “Cavallo Pazzo”: torna alla label di Aldo Coppola Neri e così torna a restituire anche una veste grafica pregiata ai suoi lavori sempre molto attenti al risultato estetico. Perché è vero che Ballerini ha sempre preteso tanto dalle immagini, disegnate o riprese tra video e foto (e qui menzione doverosa al sempre fedele Nedo Baglioni che lo segue dagli inizi), ha sempre affidato parte della narrazione a questa direzione della comunicazione e non si smentisce neanche in questo disco con il singolo “Linea d’ombra” dentro cui troviamo le tavole firmate dal fumettista Leonardo Marcello Grassi. E quella grana, quella pasta di colori che avevamo conosciuto con il video di “Gufo Grazioso” (qui si torna all’esordio e alle storie dei nativi americani), mi pare di rivederla ora nella copertina di questo disco. Insomma: se da una parte tanti ingredienti portanti e tante scelte restano ben ancorate - come la direzione artistica del sempre puntuale Alberto Checcacci - è anche vero che Ballerini evolve o anzi si trasforma un poco ad ogni passo che fa. Lavora di sintesi cercando melodie davvero efficaci come nella title track che fondamentalmente, a parte una evoluzione dell’inciso, sfoggia una strofa che si ripete come fosse un mantra e che quindi ad ogni ripetizione nuova ha quella forza del “ritorno”. È il brano che resta appena premuto play. Le variazioni nella intro di “Tra le dita” ci dice che il comparto dei musici sa il fatto suo e, per quanto la prosecuzione dei brani in generale rispetta anche una certa radice folk (e qui si metta in circolo “Vestire le parole”, emblema di radici classiche della nostra canzone d’autore), comunque il disco si fa ricco di variazioni e arrangiamenti per niente banali nonostante il “dovere” etico e artistico di restare semplice. E se “Tra bombe e distruzione” mi accolgono volute alla Fossati con la fisarmonica di Stefano Indino che mi proietta dentro una tradizione “popolaresca”, allora con “Sulle pietre del mondo” mi rivedo in America (belli richiami dal senso “blues” che fa l’acustica nella progressione delle note) con questo shuffle che sa molto di vita on the road nonostante l’evoluzione del brano sembri disegnare anche qualcosa di esotico alla “Titanic” di De Gregori… e qui il dialogo si fa davvero tanto simile alla successiva “Perché mai”… ecco: penso che qui vada in scena uno dei nei di questo disco. “La guerra è finita” è un lavoro davvero tanto concentrato sulle liriche e sugli arrangiamenti e forse poco alla dinamica e al dialogo strumentale che finisce per ripetersi e stazionare dentro modi sicuri (e pregiati ovviamente) nonostante sia una scrittura fatta di tante soluzioni. E dunque eccomi spiegato perché segno sul mio taccuino “Vestire di parole” come eccezione che svetta ed esce dagli schemi sin dal primo ascolto…
Poetico, ispirato, vellutato questo volo a planare. È una trasformazione personale o forse l’ennesimo modo per darsi pace di quel che siamo diventati. È u disco maturo che merita un ascolto puntuale, fermo, contro le distrazioni del mondo liquido e pensante ormai in automatico. Non ci sono automatismi qui.
Articolo del
14/03/2025 -
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