Con le canzoni non si fanno le rivoluzioni – come canta Guccini - ma si può intercettare un sentimento collettivo quando un brano diventa l’inno d’un movimento. E certamente la musica negli anni Sessanta divenne una forza che fece scattare in avanti i più giovani. Joan Baez, Bob Dylan, i Beatles agevolarono i sogni degli adolescenti e la voglia di cambiare dei ventenni. Prima venne il senso di un’altra musica con la generazione beat e poi fu il rock dei cantastorie con canzoni dure che parlavano della realtà. Ma accanto a questo mondo sonoro ce n’era un altro, quelle delle canzoni politiche adottate dai movimenti che scendevano in piazza.
La recente scomparsa di Paolo Pietrangeli, cantautore di impegno civile, ci porta a una riflessione su quel che resta della canzone politica che, come principio base, ha il contrario del famoso detto: canta che non ti passa! Pietrangeli entrò a far parte del “Nuovo Canzoniere Italiano”, esordendo nel recital “Padrone mio ti voglio arricchire”. Ha fatto tante cose, Pietrangeli ma il suo nome resta legato a ”Contessa”, la canzone – dura nella forma e piuttosto retorica – che è stata intonata in tutte le manifestazioni del Sessantotto.
Musica ribelle, che poco ha a che fare con gli altri cantautori che denunciavano il sistema, da Guccini a Bob Dylan, proprio perché legata alla militanza. Ci chiediamo, dunque, qual è il meccanismo che porta alcune canzoni, (che sia Contessa oppure El Pueblo Unido Jamàs Serà Vencido degli Inti Illimani), a vivere in parallelo coi movimenti di protesta: sono brani che nascono ad arte o vengono piegate alle esigenze di chi manifesta? Sia ben chiaro – è bene ribadirlo – stiamo parlando di canzoni legate ai circuiti della contestazione. Per essere più chiari, Bob Dylan nel 1983 aveva anticipato i pericoli della globalizzazione con “Union Sundown” ma era una canzone lontana dalle appartenenze a movimenti o circoli.
E a dirla tutta fu una canzone poco capita quando uscì il disco: “Dunque, le mie scarpe arrivano da Singapore/ i miei flash da Taiwan/ le tovaglie dalla Malesia/ la mia fibbia dall’Amazzonia/ Sapete questa camicia che ho addosso viene dalle Filippine/ e la macchina che guido è una Chevrolet/ l’ha assemblata in Argentina/ un tale che guadagna trenta centesimi al dì/ la democrazia non governa il mondo” … Un quadro che Dylan, il visionario, aveva dipinto prima che il mondo fosse globalizzato.
Contessa era il pane degli studenti che dovevano essere un tutt’uno con la classe operaia e con i contadini: “Che roba Contessa all’industria di Aldo/ han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti/ volevano avere i salari aumentati/ gridavano, pensi, di essere sfruttati/ e quando è arrivata la polizia/ quei quattro straccioni han gridato più forte/ di sangue han sporcato il cortile e le porte/ chissà quanto tempo ci vorrà per pulire/ Compagni dai campi e dalle officine/ prendete la falce portate il martello/ scendete giù in piazza picchiate con quello/ scendete giù in piazza affossate il sistema”…
Francesco Guccini, interpellato dal Corriere della Sera, trova quei versi un po’ retorici: “Tirare in ballo contesse in quegli anni era fuori tempo massimo”, ha detto il maestrone di Pavana, “e dipingere quell’aristocrazia reazionaria come unico nemico di classe era irrealistico”. Sta di fatto che nelle piazze e nelle Università tutti i dibattiti degli anni Settanta finivano per cedere il passo alla lotta di classe e alla cultura dei padroni. Stati d’animo a cui i cantautori più politici come Pietrangeli e Ivan della Mea davano spazio. L’autore di Contessa avrebbe cantato poi il clima degli scontri di Valle Giulia, il bombardamento di pietre, sassi e pezzi di legno da parte degli studenti, il contrattacco della polizia, la polemica di Pasolini che simpatizzò per i poliziotti ”figli di poveri che vengono da periferie contadine o urbane che siano”.
Facciamo un passo indietro. Il “Nuovo canzoniere italiano” era nato per attualizzare il fenomeno storico del canto sociale cioè quei brani tradizionali legati al movimento operaio socialista e comunista. Siamo a metà degli anni Sessanta quando il Nuovo canzoniere mette in piedi uno spettacolo diretto da Dario Fo: “Ci ragiono e canto”. L’idea è di creare una nuova cultura che sia figlia della tradizione popolare allora relegata nel mondo del folclore. E notoriamente la musica folklorica è quella che il popolo fa per divertire le classi sociali più elevate al contrario dell’etnica che il popolo fa per se stesso. Pietrangeli però era uno dei meno legati all’idea del folk, scriveva spesso adoperando la chiave dell’ironia e puntava a creare una canzone moderna con una componente teatrale che si rifaceva soprattutto a Brecht. Infatti, nel 1969 pubblica il 33 giri “Mio caro padrone domani ti sparo” che ai contenuti della lotta univa una struttura cabarettistica.
Cambia la prospettiva in quegli anni e l’arte diventa una parte fondamentale della comunicazione politica. Il mezzo di diffusione della canzone politica sono i Dischi del sole: è l’etichetta che porta al pubblico lavori importanti come “I treni di Reggio Emilia” di Giovanna Marini o i canti a tenores della Sardegna. La musica diventa un terreno di ricerca culturale quando Gianni Sassi fonda la Cramps, un’etichetta lontana dalla politica delle major che aveva come punte di diamante il rivoluzionario gruppo degli Area e Demetrio Stratos, maestro della voce.
È allora che la Sinistra coglie la capacità innovativa della musica di diffondere un messaggio grazie a una serie di circuiti che iniziavano dalle sezioni di partito e finivano con la Festa dell’Unità da cui sono passati un po’ tutti. Un altro esempio di canzone da piazza ce lo danno gli Inti Illimani che arrivano in Italia nel 1973, dopo il golpe di Pinochet in Cile. Il marketing dell’epoca sforna dischi su dischi, (il primo è Viva Chile!), regala i poster del gruppo cileno in esilio in Italia, fissa una serie infinita di concerti con un’efficienza militante che fa scoprire a tutti noi la musica andina. Il mercato discografico esplode: i dischi legati ai circuiti studenteschi politicamente impegnati si vendono a caterve.
Se vogliamo si vendono tutti meno – incredibile a dirsi – proprio Contessa che ha poca soddisfazione alla cassa ma che diventa popolare come se fosse un “Azzurro” di Celentano. La Cramps apre la strada al marketing: Gianni Sassi afferma di adoperare i mezzi del capitalismo, con il primo abbozzo di marketing, per far passare artisti e messaggi importanti. Oggi secondo il Censis cresce l’Italia del rancore. Il risentimento e la nostalgia condizionano la vita politica di chi è rimasto indietro. Ci sono, ovviamente, i cantautori e i rapper che descrivono la realtà ma non sussistono le condizioni per un marketing politico-musicale. Non lo fa più nessuno, o forse lo ha fatto Fedez qualche settimana fa quando per lanciare il nuovo disco che si chiama “Disumano”, ha lasciato intendere di poter scendere in politica… Ma alla fine era solo una trovata pubblicitaria, la chiamata a raccolta del pifferaio magico
Articolo del
29/11/2021 -
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