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È giunta al termine la settimana più discussa e mediatica dell’anno. Il sipario è calato su quel grande carrozzone, fatto di luci, scenografie, fiori/non fiori, (mini) ospiti, co-conduttrici e, ovviamente, polemiche che è il Festival di Sanremo. Il pubblico in sala, una serie di parole e gesti apparentemente insensati degli artisti sul palco, la satira di Checco Zalone, la caduta di un cameraman, le emozionanti cover, gli outfit sobri (si scherza) di Orietta Berti sono solo alcuni dei momenti caratteristici della settantaduesima edizione del Festival della canzone italiana. Ecco a voi i nostri personali top, flop, e Nì, la categoria dove si trova tutto ciò che si sarebbe potuto affrontare meglio.
TOP
L’energia e la commozione dei Måneskin, gli unici superospiti di questo Sanremo. Dopo un anno di successi e numeri da capogiro, dopo aver vinto l’Eurovision Song Contest, aperto il concerto dei Rolling Stones, aver partecipato al Tonight Show di Jimmy Fallon e al Saturday Night Live, insomma aver ridato lustro al rock italiano nel mondo, la band romana torna sul palco che l’ha vista trionfare l’anno scorso, riproponendo la canzone vincitrice Zitti e buoni. I Måneskin mostrano anche la loro anima più profonda ed emozionante con la ballad sull’anoressia Coraline e il leader Damiano David si commuove.
La FantaSanremo mania. A farla da padrone sul palco dell’Ariston quest’anno sono state espressioni come “Papalina”, “FantaSanremo”, “Un saluto a zia Mara” e gesti incomprensibili, come le flessioni di Rkomi, gli squat di Highsnob e Hu, i baci mandati al pubblico e l’inseguimento dalla polizia di Emma. La colpa è del FantaSanremo, il giouco del Festival inventato nel 2020 da Giacomo Piccinini, Nicolo' 'Papalina' Peroni e un gruppo di amici, titolari del bar 'Corva da Papalino' di porto Sant'Elpidio e che, a partire dal 2021, si svolge sul web. A partecipare sono stati 500.00 iscritti che hanno scommesso sui cantanti in gara formando delle squadre di cinque componenti. Tutti gli atteggiamenti appena descritti permettevano ai giocatori che avevano in squadra gli artisti che li compivano di acquistare punti. Tra i malus, invece, presentarsi sul palco a piedi nudi, cosa che hanno fatto Achille Lauro ed Elisa o con gli occhiali da sole come Dargen D’Amico. L’eleganza, l’autoironia, lo charme e la cultura di Drusilla Foer, alter ego di Gianluca Gori. Dalla prima apparizione sul palco, dopo la discesa delle scale, in cui, anziché condurre comincia a cantare rivolgendosi ad Amadeus con «Senta coso, come si chiama?», al travestimento di Zorro, per rassicurare chi temeva un uomo en travesti, passando per il toccante monologo finale sull’unicità di ognuno e l’importanza dell’atto dell’ascolto, la Foer è stata la co-conduttrice più completa di questa edizione.
Le prime due posizioni del podio. I vincitori Mahmood e Blanco con Brividi hanno realizzato una crasi di classico e contemporaneo, urban e pop, il tutto in un brano dalla produzione quasi perfetta e due voci impeccabili. La raffinatezza, l’eleganza, i look eterei di Elisa hanno permesso alla sua O forse sei tu di piazzarsi al secondo posto, confermando le capacità vocali e umane di una grande cantautrice e interprete italiana. La presenza di artisti come La rappresentante di Lista che, sia con Ciao ciao che con la cover di Be my baby con Cosmo, Margherita Vicario e Ginevra sono riusciti a mescolare le loro tante e diverse anime musicali. Troviamo poi Giovanni Truppi, il poeta di questa edizione, con la sua bellissima Tuo padre, mi madre, Lucia, credibile anche nell’interpretazione de Nella mia ora di libertà di Fabrizio De André, assieme a Vinicio Capossela e Mauro Pagani all’armonica. L’allegria e il politically incorrect di Dargen D’Amico con Dove si balla e le sonorità anni ‘70/’80 e la maliziosità di Chimica, cantata da Ditonellapiaga e Rettore. La satira di Checco Zalone, protagonista della seconda serata, si concentra su temi caldi della società italiana. Zalone interpreta Oreste, un trans brasiliano con un suocero omofobo, suo cliente, in una favola LGBTQ ambientata in Calabria. Veste i panni del trapper Ragadi che si lamenta di essere Poco ricco nella sua hit. Infine, diventa il virologo Oronzo Carrisi, cugino di Al Bano, finalmente più famoso del cantante grazie alla pandemia.
L’intervento di Maria Chiara Giannetta su cosa significa essere ciechi. L’attrice, interprete di Blanca Ferrando, una giovane non vedente consulente della polizia nell’omonima fiction Rai, invita il pubblico dell’Ariston a chiudere gli occhi e presenta i "guardiani di Blanca", le quattro (più una non presente sul palco) persone non vedenti che l'hanno aiutata a calarsi nel ruolo. La Giannetta è spontanea e fresca, come nel siparietto con Maurizio Lastrico, un dialogo tra due innamorati che parlano attraverso i titoli e le frasi delle canzoni più celebri della musica italiana. Una volta c’era il compianto Dopofestival. Il programma I lunatici di Rai2 e Radio2, condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, durante la settimana del Festival è andato in onda da Sanremo, raccontando, in modo intelligente e leggero, cosa era appena accaduto sul palco, intervistando, tra gli altri, Giovanna Civitillo e il direttore di Rai1 Stefano Coletta, ricordando la storia della kermesse e facendo cantare dei bizzarri personaggi presenti fuori dall’Ariston in stile Corrida. La quarta serata dedicata alla reinterpretazione di alcune cover della musica degli anni ‘690, ’70, ’80 e ’90 da parte degli artisti ha offerto alcune esibizioni interessanti. Da ricordare l’emozionante Your Song di Matteo Romano e Malika Ayane, l’energia de Le Vibrazioni con Sophie and the Giants e Peppe Vessicchio in Live and let die, l’innovativo arrangiamento di …Baby one more time di Emma e Francesca Michielin e quello totalmente stravolto de La bambola di Dargen D’Amico.
La conduzione meno ingessata. In barba alle regole e alle precauzioni anti Covid-19, conduttore e co-conduttrici hanno annunciato gli artisti dalla loro solita postazione sulla destra del palco. Ma, dopo che questi scendevano le scale, Amadeus e le partner femminili si sono avvicinati ai cantanti, senza risparmiarsi nei complimenti e nelle battute, a volte, forse, anche troppo.
NÌ
Questione fiori. Dopo la polemica dell’anno scorso e l’invito di Fedez sia a superare il retaggio culturale secondo il quale i fiori vanno dati solo alle donne che le distinzioni di genere, la consegna dei bouquet di Sanremo è stata gestita in modo confusionario. Nelle prime due serate sono ancora solo le donne a riceverli, nella terza sono gli uomini in gara a consegnare degli omaggi floreali ad Amadeus (proprio a farglielo capire) ed ecco che, nelle ultime due serate, i fiori vengono finalmente consegnati a tutt*, donne e uomini. Speriamo che l’anno prossimo non ci sia nuovamente bisogno di tornare sull’argomento.
La forzatura nel voler parlare del razzismo. Nella seconda serata la co-conduttrice Lorena Cesarini, madre senegalese e padre italiano, legge alcuni estratti dal libro Il razzismo spiegato a mia figlia di Tahar Ben Jelloun, in un monologo sul razzismo. L’attrice ammette di non esserne mai stata vittima prima di ricevere commenti e offese social relativi alla sua partecipazione al Festival. Stranamente però, l’attrice, forzatamente emozionata, aveva dichiarato al settimanale Oggi pubblicato il 27 gennaio: «Parlare di odio razziale per un paio di post mi sembra una montatura». Dove sta la verità?
L’intervento, durante la terza serata, di Roberto Saviano sulle stragi di Capaci e via D’Amelio del 1992 nei quali morirono, tra gli altri, i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Intento nobilissimo, anche se un po’ retorico. Peccato poi che Saviano abbia promosso Insider, il programma da lui curato e condotto che andrà in onda su Rai 3. La comicità di Fiorello che, durante la prima serata, ritrova il suo smalto grazie al pubblico ma, a volte, è troppo banale. La scelta di inserire Vedrai vedrai di Luigi Tenco nella lista delle canzoni tristi cantate in modo allegro in un siparietto che si poteva benissimo evitare è stata a dir poco indelicata. La partecipazione di Achille Lauro. Lauro fa sempre spettacolo, nel palco trova la sua dimensione naturale e l’accompagnamento di alcuni membri dell’Harlem Gospel Choir ha permesso al suo pezzo, Domenica, di cambiare leggermente veste. Purtroppo, l’impressione generale è quella di un déjà-vu sia nel testo, che ricalca le sue canzoni precedenti che nell’estetica tra il sacro e il profano. L’omaggio alla compianta attrice Monica Vitti, scomparsa proprio il 2 febbraio. La seconda serata del Festival si apre con la standing ovation del pubblico per questa donna e attrice intelligente, ironica e sensuale, mostrata sul palco con una gigantografia. Bello, ma si sarebbe potuto fare di più.
FLOP
L’eliminazione della categoria Giovani. Quest’anno i primi tre classificati di Sanremo Giovani hanno gareggiato tra i Big. Le performance del vincitore Yuman, di Matteo Romano e Tananai non sono state all’altezza dell’Ariston. I ragazzi, troppo poco noti rispetto ai Big, sarebbero stati più valorizzati se avessero concorso nella loro categoria che avrebbe permesso a più esordienti di giovare di una vetrina come quella di Sanremo. La quota trash dell’intrattenimento, in particolare gli abiti esagerati di Orietta Berti e la conduzione di uno “show” parallelo al Festival sulla nave Costa Toscana con Fabio Rovazzi. Ma il punto più basso si è toccato poco prima della proclamazione del vincitore, quando la Berti ha presentato il suo nuovo singolo Luna piena, a dir poco agghiacciante. La scelta del vincitore della serata cover Gianni Morandi di farsi accompagnare dall’autore della sua canzone in gara, Jovanotti. Quest’ultimo è tornato sul palco come superospite, in una sorta di endorsement indiretto alla cover in gara nella serata. A Gianni piace vincere facile! La brevità e l’ora tarda alla quale sono stati proposti gli omaggi a personalità del cinema e della musica importanti. Nell’anno in cui Amadeus ha affermato di aver scelto come co-conduttrici attrici di cinema e teatro per incoraggiare i settori a ripartire, Ornella Muti nella prima puntata ha ricordato colleghi e registi con cui ha lavorato, da Ugo Tognazzi a Paolo Villaggio, passando per Massimo Troisi in un omaggio al cinema italiano troppo riduttivo. Così come troppo veloce, praticamente inesistente, è stato l’omaggio a Franco Battiato, relegato alle 00:40 della prima serata, mediante la proiezione delle immagini di un estratto de La cura dal Festival del 2007 su un sipario calato sul palco.
Troppo poco tempo anche per Lino Guanciale. L’attore, presente sul palco nella quarta serata per promuovere le fiction di Rai1 Noi, adattamento italiano della serie televisiva This is us e Sopravvissuti, non si limita a pubblicizzare l’ennesimo prodotto di Mamma Rai. Canta A Hard Day’s Night dei Beatles, si complimenta con Amadeus per il numero ingente di parole che ha pronunciato in una settimana di Festival, facendo lui stesso sfoggio di una dialettica spigliata ma consapevole. Fulmineo anche l’intervento, nella seconda serata, del talentuoso attore Claudio Gioè, che si limita a lanciare la seconda serie della fiction televisiva Rai 'Màkari trasformando lo spot pubblicitario in un atto unico di 25 secondi. Le troppe markette e pubblicità agli sponsor del Festival come Suzuki, Eni e Costa Crociere e alle fiction di Rai1.
Articolo del
07/02/2022 -
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