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C’è tanta musica nella vita di Serhij Zhadan, 48 anni, punto di riferimento della cultura ucraina. Musica diversa per ogni storia da raccontare, dal jazz al pop europeo. Poesie musicate e cantate con la ska band Zhadan i Sobaky, cioè I cani nello spazio, di cui è il leader. Sono poesie quelle di Zhadan che in questi giorni fanno parte di una mostra di solidarietà per l’Ucraina, allestita dal Moma di New York. Versi che irrompono, così come i riferimenti letterari, nelle canzoni: Serhij Zhadan ha pubblicato sei dischi, dodici libri di poesia e sei romanzi tradotti in tredici lingue tra cui l’italiano, (cinque pubblicati dalle edizioni Voland e uno, “Depeche Mode” da Castelvecchi).
La scrittura che sia in versi o in prosa ha sempre una stella polare da seguire, le parole in musica o su carta fanno parte dello stesso universo. Zhadan racconta i personaggi senza famiglia che si muovono tra la città e il confine russo, bevono Vodka, si fanno le canne e abusano di pasticche con un solo scopo: anestetizzare la vita. Storie di giovani che, in fuga dalle famiglie, vivono di piccoli furti e di contrabbando, sospesi tra il miraggio della cultura occidentale e gli ultimi brandelli della vecchia Russia. Giovani che passano il confine in treno per fare contrabbando di liquori, cambiano i dollari in rubli, comprano due casse di vodka le rivendono al doppio del prezzo, esempio della selvaggia accumulazione capitalista…
Non ci sono spiragli di futuro nelle storie dei ragazzi raccontati da Zhadan che si fa accompagnare da un sestetto: chitarra, basso, batteria, tastiere, tromba e trombone. “Hai la notte infilata in tasca come la crosta di un carcerato/ la sagoma appiattita di un uomo che cammina/ la cera da cui è modellata una luna/ Il tuo percorso è la nuova cronaca delle città/ le pendici che conducono con dolcezza alla piazza/ orme profonde lasciate dai cacciatori/ nei quali si impasta la paura e diventa coraggio”. Suonano forte i “cani nello spazio” e cantano brani contro la guerra, come Atomic Bomb blues.
Zhadan, attivista politico, ha preso parte alle manifestazioni della rivoluzione arancione del 2004 e ora è tornato nella sua martoriata città come volontario civile per distribuire aiuti umanitari in Donbass. Negli ultimi anni – prima dell’invasione di Mosca del febbraio scorso – l’industria musicale ucraina ha vissuto una discreta espansione grazie alla legge sulla lingua che impone alle radio di trasmettere una quota importante di canzoni in ucraino. E, assieme alla valorizzazione del patrimonio folk tradizionale contaminato da sonorità etniche, hanno trovato più spazio il pop e il rock, i generi maggiormente ascoltati, ma soprattutto il rap che ha la sua star in Alyona, una ragazza che canta la fatica della vita quotidiana e le aspettative di una generazione che guarda all’Europa. Zhadan, però resta un punto di riferimento nella scena culturale anche per la scelta identitaria in difesa degli ucraini del Donbass e della lingua. Il cantautore osserva i cambiamenti della sua città che un secolo fa, quando i bolscevichi entrarono in Ucraina, divenne capitale. Nell’ultima fase dell’era sovietica – scrive lo stesso autore nel libro Depeche Mode, un titolo un tributo all’amata band – Kharkiv era una città industriale, poi dopo il crollo dell’Urss, è stata travolta dai problemi sociali. Eppure si tratta di un luogo multiculturale che poteva contare sino allo scoppio della guerra su 400 mila studenti.
Ha simpatie anarchiche Zhadan e non nasconde la contestazione del centralismo di Mosca. Una protesta che sembra differente dal dissenso generato all’Est durante i movimenti del Sessantotto e in seguito alla caduta del Muro. La riflessione sul passato è illuminante perché già nel Sessantotto i filoni della protesta seguirono percorsi differenti da quanto accadeva in occidente. Gli studenti allora scesero in piazza ovunque, da Praga a Budapest, ma il loro mito più che Marx fu la democrazia borghese. Se nell’occidente il Sessantotto aveva avviato un ragionamento sulla praticabilità del modello marxista, comprese le varianti ideologiche di Cuba e della Cina, il blocco dell’Est europeo era giunto alla conclusione che il marxismo non fosse riformabile. Il risultato in quel momento storico fu che a Ovest il Movimento si frantumò in mille formazioni extraparlamentari e fortemente ideologicizzate, mentre nell’Europa orientale i contestatori liquidarono l’Utopia diventando dissidenti.
Zhadan rifiuta il ruolo di dissidente che si mette in disparte, è un attivista, scrive racconti e canzoni che prendono per mano chi legge e chi ascolta. Alla musica energica che Zhadam suona con la sua band, viaggiano in parallelo i recital di poesia dove la sua voce è supportata da un pianista. E chiude la performance recitando così: “Cominciamo la nostra marcia/ attraverso il grande vuoto verde/ la madre patria al crepuscolo/ cominciamo con ciò che è più difficile/ cantare e spegnere i fuochi nella notte”. Versi adatti al tramonto di un’epoca e di un paese. “Nel Donbass – ha affermato Zhatan – ci torno regolarmente, ci sono i miei genitori che parlano ucraino e non il russo. Raccolgo i fondi attraverso una fondazione per poter aiutare la gente e speriamo di poter ripartire presto sostenendo la cultura e la formazione”
Articolo del
21/05/2022 -
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