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C’è un silenzio elettrico nell’aria, uno di quelli che si sentono solo dopo un grande assolo, quando il pubblico resta immobile e le luci si spengono lentamente. È il silenzio che accompagna l’addio a Ace Frehley, il chitarrista fondatore dei Kiss, l’uomo che ha portato la chitarra tra le stelle.
Se n’è andato a 74 anni, lasciando dietro di sé non solo decibel e glitter, ma un’eredità fatta di suoni, immaginazione e libertà.
Paul Daniel Frehley nacque nel Bronx nel 1951, in un quartiere ruvido, dove la musica era rifugio e salvezza. A 13 anni aveva già una chitarra in mano e un sogno: fuggire dal grigio, dalla realtà, da tutto ciò che non brillava. Negli anni ’70 incontrò Gene Simmons, Paul Stanley e Peter Criss, e da quell’incontro nacque una delle band più iconiche della storia del rock.
Il suono di un’altra galassia tra stelle e ombre Lo stile di Ace carico di personalità era terso di emozione. Non cercava la perfezione tecnica ma il colpo di scena. Con una Gibson Les Paul collegata ad un Marshall a tutto volume, ha costruito un suono crudo, viscerale e vero.
Il suo assolo in “Shock Me”, scritto dopo essersi preso una scossa elettrica durante un concerto nel 1976, è un manifesto di quella filosofia: trasformare il dolore in potenza e l’incidente in arte. Brani come “Cold Gin”, “Parasite”, “Rocket Ride” e “2000 Man” sono esempi di come Frehley sapesse unire melodia e aggressività, ironia e misticismo.
La sua immagine da “Spaceman” con la maschera argentata, gli occhi neri e la tuta da astronauta glam, lo rendevano un personaggio unico, sospeso tra fantascienza e rock’n’roll, tra palco e un pianeta immaginario tutto da scoprire.
Come molti eroi del rock, anche Ace aveva i suoi demoni. L’alcol e le dipendenze lo portarono più volte lontano dalla band. Dopo l’uscita dai Kiss nel 1982, visse anni di alti e bassi, tra silenzi, cadute e rinascite. Ma ogni volta, tornava con una nuova energia.
Nel 1987 fondò Frehley’s Comet, progetto che gli permise di esplorare una dimensione più personale e sperimentale, dimostrando che dietro il personaggio c’era un vero artista, un compositore con una sensibilità rock autentica.
Nel 1996, il ritorno con i Kiss per il tour del ventennale fu un trionfo. I quattro originari di nuovo insieme, il pubblico in delirio, i costumi scintillanti e Ace, ancora una volta, con la sua chitarra che fumava come un razzo pronto al decollo.
Dopo altri abbandoni e reunion, Ace, mantenendo il suo inconfondibile stile, si è dedicato a progetti solisti, tra cui album apprezzati come Anomaly (2009), Spaceman (2018) e 10000 Volts (2024).
Ace Frehley non cercava di stupire con la velocità o la tecnica, ma con l’attitudine. Era l’incarnazione della filosofia plug in and play: attacca la chitarra, alza il volume e lascia parlare il cuore. Il suo modo di suonare ha influenzato centinaia di artisti: da Dimebag Darrell dei Pantera a Dave Grohl, da Jerry Cantrell degli Alice in Chains a Slash, tutti hanno riconosciuto in lui un modello di autenticità. Ace rappresentava il sogno puro del rock: un ragazzo del Bronx che, con una chitarra e un po’ di trucco, è riuscito a diventare una leggenda universale che oggi continua a vivere in ogni nota distorta, in ogni ragazzo che suona davanti allo specchio sognando un palco e una platea di fuoco.
Il saluto del mondo del rock Alla notizia della sua morte, il mondo della musica si è fermato per un attimo. Sui social, artisti di ogni generazione hanno condiviso ricordi e fotografie. Non c’è chitarrista che non abbia provato almeno una volta a imitare quel suono, quel gesto, quella smorfia sotto il trucco.
Ace era un’icona, un simbolo di libertà. Forse, in fondo, Ace non se n’è davvero andato. Forse ha solo intrapreso un altro viaggio, verso quella galassia che ha sempre cercato di raccontare con le sue note.
Addio, Ace Frehley. Grazie per averci ricordato che il rock non si ascolta soltanto: si vive, si sogna, si suona a tutto volume
Articolo del
23/10/2025 -
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