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Valvoline Story
La storia dell’avanguardia italiana del fumetto in mostra a Bologna
Bologna
2014
di
Claudio Prandin
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Bologna: da Piazza Maggiore si imbocca Via Indipendenza lasciandosi alle spalle la Basilica di S.Petronio e l'irriverente fontana del Nettuno, si svolta alla seconda strada a destra e poi subito a sinistra e si arriva nella piccola ma romantica Via delle Donzelle; qui è situata la Fondazione del Monte che ospita la mostra dedicata a Valvoline, la splendida rivista di fumetti degli anni '80. Prima di proseguire nella visita è necessario fare un passo indietro per capire in quale ambiente nasce il progetto: siamo alla fine degli anni ’70, Bologna è una polveriera in cui è facile che i contrasti si esprimano in modo violento ma è anche un ambiente dinamico che offre vette di creatività mai eguagliate; passeggiando per le sue strade si possono incontrare Dalla e Guccini parlare di musica davanti ad un bicchier di lambrusco, l’esimio professor Umberto Eco che si reca all’Università dove insegna semiotica, l’allucinato e allucinogeno Andrea Pazienza (forse il fumettista italiano di maggior talento) oppure un coraggioso manipolo di ragazzi che sfida le istituzioni urlando la propria rabbia dalle frequenze di Radio Alice. Da questo humus creativo quanto destabilizzante nasce il gruppo Valvoline, l'unione di otto artisti riconducibili al DAMS che decidono di mettere a fattor comune le proprie esperienze e i propri talenti per dare vita ad una rivista di fumetti: Lorenzo Mattotti, Igort, Marcello Jori, Giorgio Carpinteri, Daniele Brolli, Jerry Kramsky e in seguito Charles Burns e Massimo Mattioli.
“Valvoline” esce per la prima volta nel 1983 come supplemento alla già quotata Alter Alter, proponendo brevi racconti a fumetti che affrontano i più diversi argomenti: le avventure futuristiche e i classici del noir, le storie di guerra con le navi da battaglia che prendono fuoco e la normalità della vita bucolica rappresentata splendidamente nell’iper-realista “Lover” di Jori. L’aspetto più significativo di questo progetto è l’assoluta libertà con la quale ogni artista esprime le proprie capacità e il proprio stile. Ammirando le tavole esposte il primo colpo di fulmine lo si ha con “L’uomo non visibile” di Carpinteri che anticipa la tecnica del contrasto assoluto tra il bianco e il nero che verrà utilizzata in seguito dal grande maestro Frank Miller nel suo capolavoro Sin City. L’effetto visivo più interessante di questa storia è infatti la separazione netta tra il bianco e il nero che compongono la stessa tavola: sembrano distaccarsi l’uno dall’altro e formare le immagini per reciproca sottrazione. Si prosegue con la tragica storia del classico scienziato “pazzo” che grazie ai suoi esperimenti è diventato immortale ma che continua ad invecchiare; all’età di 97 anni cerca di tornare giovane perché oltre a lui, anche i suoi desideri sessuali sono immortali; prova quindi a trasportare la sua mente in un corpo giovane per poter soddisfare i desideri repressi; utilizzando il metodo di Frankenstein, avvalendosi di antenne e parafulmini riesce a trapiantare in una notte tempestosa il suo cervello in un nuovo corpo; ma la beffa giunge quando scopre che il corpo è quello di una bellissima donna che pertanto desidera con gli occhi ma di cui non può godere. In questo caso è il colore a farla da padrone: anche se l’ambientazione è delirante e opprimente le scene non sono buie e tetre ma illuminate da sfondi gialli e verdi quasi fosforescenti, che conferiscono alle tavole una drammaturgia tutta particolare che non fa rimpiangere i colori foschi che ci si aspetterebbe.
Non mancano le romanticissime e agrodolci “Notti bianche” di Carpinteri (anche nel titolo ritorna la distonia simbiotica tra i due colori) nelle quali un uomo orrendamente malformato è innamorato di una bellissima donna alla quale teme di avvicinarsi; una sera la salva da un’aggressione che però la rende cieca; come ringraziamento va a trovarlo nel carcere in cui, ritenuto colpevole dell’aggressione dalla polizia, deve scontare otto anni; lei invece sa che è il suo salvatore e si innamora a suo volta; in questo caso l’amore è davvero cieco proprio perché, come dice il nostro eroe: «Neanche lei potrebbe mai amarmi sotto una luce diversa da quella del buio». Si potrebbe concludere con l’avvincente storia di Mattotti che racconta di un marinaio su una nave da guerra in fiamme che proclama: «Ti scrivo dall’eternità del mondo. Non ti mando parole ma segni». Le tavole sono splendide e lo stile è già riconoscibile; le figure dell’artista che ormai vive a Parigi sono rotondeggianti e spesso proseguono nel paesaggio mescolandosi con esso tanto da confondersi. Lo sguardo degli indigeni che verso la fine fissano il lettore sono dotati di una forza magnetica irresistibile.
Il filo conduttore di “Valvoline” non sono gli argomenti o il modo con cui sono raccontate le storie ma una costante sperimentazione tecnica e stilistica con grafiche sempre differenti e spesso provocatorie. Risulta evidente la trasformazione dei visi e dei corpi, la loro metamorfosi o meglio transizione anche se non viene (volutamente) spiegato il traguardo finale. I volti sono spesso deturpati come quello del personaggio privo di occhi, bocca, orecchie e naso, oppure la faccia rossa con capelli verdi a forma di carciofo o l’uomo con un fazzoletto al posto del viso. L’esposizione si svolge in sole quattro sale e contiene 180 opere; rappresenta una piccola percentuale del materiale pubblicato ma merita una visita per l’eccellente qualità delle opere e per omaggiare la passione con cui è stata curata. Rimarrà aperta fino al 21 Aprile tutti i giorni dalle 10 alle 19 con ingresso libero. Il catalogo edito dalla Coconino Press costa 18,50 Euro.
Valvoline Story Fondazione del Monte Bologna - (via delle Donzelle 2) Fino al 21 Aprile
Articolo del
25/03/2014 -
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