Quando ero un giovane attore speravo che da grande potessi avere una bella storia da raccontare. Oggi una bella storia ce l’ho, e mi ha fatto piacere condividerla con voi, confessa Giuseppe Cederna al termine del suo spettacolo. E la sua è una storia innanzitutto di evasione: una storia che nasce dall’esigenza di reagire ad una condizione forzata di una vita sospesa ormai da due anni, da quando quel nemico inatteso ha devastato le nostre esistenze ed ha stravolto le nostre relazioni sociali. Avremmo tutti bisogno di un’isola: un luogo dove fuggire, ritrovare noi stessi, riscoprire il contatto con la terra e riaccendere le luci della nostra fantasia inventando nuove storie che siano in grado di nutrire le nostre anime ferite. Si, perché le storie sono luci nel buio.
Quelle stesse luci che nella storia della letteratura hanno acceso molti grandi scrittori, come Robert Luis Stevenson che, ironia della sorte, era figlio di un ingegnere edile specializzato nella costruzione di fari. Ed è proprio da quella storia narrata dallo scrittore scozzese nella sua opera più famosa, L’isola del tesoro, che Giuseppe Cederna prende spunto per costruire la sua storia. Le avventure del vecchio marinaio Billy, di Cane Nero, del capitano Flint, del pirata con una sola gamba Long John Silver, della nave a vela Hispaniola costituiscono lo sfondo dello spettacolo. Uno sfondo che aiuta lo spettatore ad evadere, a mettere in moto la fantasia e ad immaginare avventure di pirati, ammutinamenti, tesori nascosti che lo proiettino in un mondo lontano. Ma il vero intreccio, il continuo gioco di specchi dello spettacolo è quello che emerge tra le vite personali. Da una parte quella dello scrittore di Edimburgo, che viaggiava e tossiva, viaggiava e tossiva, spinto da una necessità di salute oltre che da personale spirito d’avventura. Dall’altro quella di uno scrittore/attore impossibilitato dalla pandemia a poter raccontare le proprie storie: cos’è un attore senza il palcoscenico sotto i piedi, senza il proprio pubblico? Non rimane che una possibilità: rifugiarsi con la compagna su un’isola greca, la loro isola, quella dove sono stati accolti da una coppia del luogo come due di famiglia. Un’isola dove si impara a tagliare l’erba con la falce e scoprire la bellezza della terra con il sangue sulle mani. Un’isola dove si può riprendere a sognare, immaginare nuove storie ed attendere il momento per poterle di nuovo raccontare.
Per farlo non è necessaria una scenografia estetica: bastano tre sedie e un leggìo. Al resto pensa il narratore. L’attore, quello di Mediterraneo, che in questa sua performance dimostra, oltre alle sue ottime e già note qualità di recitazione, un desiderio straripante di riprendersi un palcoscenico; una passione grande per il suo lavoro, una voglia repressa dalla pandemia di poter finalmente riabbracciare un pubblico. Un pubblico con il quale condividere storie di fughe, un pubblico dal quale è necessario riappropriarsi di un applauso, per farci sentire, per dimostrare che siamo ancora lì. Vivi, attenti ad ascoltare quelle storie che sono luci nel nostro buio del presente, pronti a partire per le nostre isole dei sogni, dove potremo tornare a sentire il battito delle emozioni da troppo tempo ormai sopite.
Al Teatro Vittoria di Roma fino al 30 gennaio 2022
Articolo del
26/01/2022 -
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