Dopo aver rappresentato sul palcoscenico Ragazzi di vita di Pasolini, Nemico del popolo di Ibsen e Furore di Steimbeck, Massimo Popolizio si cimenta in una nuova grande sfida: quella di portare in scena il monumentale (e bellissimo) romanzo storico di Antonio Scurati, “M- il figlio del secolo, che racconta il ventennio fascista (per la prima volta narrato sotto forma di romanzo) con il supporto di documenti inediti che ne testimoniano l’approfondita ed accurata ricerca storica. E, come per gli spettacoli precedenti, vince di nuovo la sfida.
Pur ritagliandosi uno spazio scenico limitato solo alla rappresentazione di un Mussolini gigionesco, quelle poche scene sono sufficienti a confermare Popolizio come uno dei migliori attori italiani del momento. Convincente, accattivante, carismatico: in grado di condurre lo spettatore nel labirinto di sentimenti contrastanti e spesso contraddittori che il personaggio impone.
Lo schema narrativo si sviluppa in trenta quadri, che raccontano i sei anni che vanno dal 1919 al 1925 (dunque il riferimento storico è quello che Scurati ha raccontato nel primo volume della sua opera, composta al momento anche da un secondo volume). Trenta quadri in cui il protagonista assoluto in realtà non appare essere il Duce, ma un’Italia fragile, alla ricerca di un capo perché gli uomini hanno sempre bisogno di un capo, una intera classe politica incapace di stabilire un nuovo percorso dopo le ferite della Prima guerra mondiale, una gioventù che canta Giovinezza senza capire cosa canti, ma i giovani hanno sempre bisogno di nuove canzoni. Trenta quadri che raccontano i protagonisti famosi e non mettendoli giustamente sullo stesso piano (storico e di responsabilità). In cambi di scena rapidi (eseguiti dagli stessi attori) e sempre adeguati alla descrizione del contesto storico riviviamo così la nascita degli Arditi, ex combattenti tornati dal fronte della Prima guerra mondiale con aspettative irrealizzate e divenuti rabbia violenta del cuore molle del paese. Si passa poi ai Futuristi, perché l’arte doveva essere un preciso segno distintivo e riconoscibile del fascismo nel mondo. Si entra con D’Annunzio acclamato dalla folla nella città di Fiume, che viene conquistata senza sparare un colpo. Si incontra Margherita Sarfatti, critica d’arte ed amante del duce al quale insegna ad usare i congiuntivi svelandone la rozzezza oltre che un machismo mai sopito. E poi i nemici del fascismo: Pietro Nenni, Giacomo Matteotti (bellissimi i quadri scenici che raccontano del suo rapporto con la moglie Velia, del rapporto con i suoi contadini del Polesine e naturalmente toccante quello che racconta il rapimento ed il suo omicidio da parte delle squadracce fasciste). Poi ancora Nicola Bombacci, uno dei padri fondatori del Partito Comunista convertitosi al fascismo, divenuto consulente di Mussolini, ritiratosi nella Repubblica di Salò, ucciso dai partigiani ed esposto da morto in Piazzale Loreto insieme al Duce. E questa storia ricorda molto un certo trasformismo divenuto male endemico della politica italiana tuttora mai sanato. E poi i quadri, azzeccatissimi, di una rocambolesca marcia su Roma, oltre che un toccante ritratto delle donne socialiste in prima fila con le loro bandire rosse alle manifestazioni e quello dello sciopero degli operai della Fiat che rivendicano i loro diritti tra mille dubbi e contraddizioni.
Una lezione di storia in tre ore (compreso intervallo) che non annoia neanche per un attimo: la bravura dei 18 attori protagonisti ed il taglio narrativo improntato quasi interamente su una recitazione ironica rendono lo spettacolo estremamente piacevole. E pur descrivendo uno dei periodi più bui della nostra storia possiamo tranquillizzare lo spettatore che la durata dello spettacolo è direttamente proporzionale alla sua bellezza. Una lezione di storia di un periodo con il quale questo nostro paese sembra non aver chiuso i conti; un periodo caratterizzato da tutte quelle contraddizioni, quelle debolezze, quei vizi malati tuttora purtroppo ancora presenti non solo nella nostra classe politica, ma nell’Italia tutta. Il fascismo non è il virus che si propaga, ma il corpo che l’accoglie, sostiene il Duce. E dunque, se come ha detto Scurati a questo servono i romanzi, il teatro, l’arte: a chiudere i conti, a seppellire i morti, a evacuare la nostra casa comune dai fantasmi, viene fin troppo facile una riflessione finale: dopo la terribile tragedia della pandemia che abbiamo affrontato, speriamo davvero di aver sviluppato gli anticorpi anche per quel virus sempre in agguato del fascismo e ad aver strutturato i nostri corpi in modo tale che siano in grado di riconoscerne il pericolo sempre presente, e tenerlo lontano da noi e da qualsiasi generazione che verrà dopo di noi.
Con: Massimo Popolizio- Tommaso Ragno- Sandra Toffolatti- Paolo Musio- Raffaele Esposito- Michele Nani- Tommaso Caldarelli- Alberto Onofrietti- Riccardo Bocci- Diana Manea- Michele Dell’Utri- Flavio Francucci- Francesco Giordano- Gabriele Brunelli- Giulia Heathfield Di Renzi- Francesca Osso- Antonio Perretta- Beatrice Verzotti
Al Teatro Argentina di Roma fino al 3 aprile 2022
Articolo del
10/03/2022 -
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