"Diffidiamo di coloro che aderiscono a una filosofia rassicurante, che credono nel Bene e lo erigono volentieri a idolo; non vi sarebbero pervenuti se, ripiegati onestamente su se stessi, avessero sondato le proprie profondità o i propri miasmi; ma coloro – quei rari, è vero – che hanno avuto l'indiscrezione o la sventura di immergersi fino all'intimità del loro essere, sono informati sul conto dell'uomo: non potranno più amarlo, perché non amano più se stessi, pur restando (e sarà il loro castigo) incatenati al loro io più di prima."
Mi è tornato alla mente questo brano di Cioran ieri sera, tornando dal teatro Vascello dove fino al 23 gennaio è in scena Hybris: Antonio Rezza, unità corpo/mente/intento d'artista nella scena in cui Mastrella realizza l'habitat necessariamente scarno di questo vertiginoso nuovo capitolo di arte teatrale contemporanea.
Oltre ad altri sette attori in scena, per co-protagonista una porta pesante e stretta a rappresentare la soglia problematica del rapporto io/ altro, fuori/dentro, riconoscimento/disconoscimento, vuoto/pieno, senso/nonsense. Su tutto la comicità vertiginosa ora esilarante ora crudele con cui Rezza svela le viscere oscure della famiglia e delle sue dinamiche, dis-comfort zone per eccellenza, che nella definizione reificante dei suoi componenti ne soffoca e mortifica la vitalità. Una battuta su tutte al personaggio che bussa alla porta che alla domanda "Chi è?" il nostro risponde "Gustatela!"
Ovvero goditi questo spazio di libertà nella non-identità, la dimensione non-dentro/non-fuori che sembra l'unica surreale, tragica via d'uscita: proteggerci dagli altri, proteggere gli altri da noi stessi.
Come Rezza ci ha abituato fin dall'inizio ritroviamo tutte le caratteristiche del suo teatro: il surreale, l'assillante, il linguaggio alto e letterario e neologismi che aprono squarci di senso inatteso, grazie alle quali lo spettatore si affida lasciandosi portare, un po' ingaggiato e un po' stordito, in territori inediti certo che sarà messo di fronte alla propria liberatoria nudità.
Rezza da filosofo burattinaio da sempre "oltre lo specchio" mette in scena, vertiginosamente, l'ombra delle cose e con tale accettata feroce evidenza da restituircele illuminate dalla sua lucidissima follia e da una compassione lavorata al setaccio.
Articolo del
03/01/2023 -
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