Fino al 28 febbraio 2024 Al Palazzo delle Esposizioni di Roma è possibile addentrarsi in un intenso viaggio attraverso l'obiettivo di Don McCullin, il celebre fotoregiornalista britannico che ha dedicato gran parte della sua carriera a narrare la complessità della condizione umana nei contesti più impegnativi del mondo. I suoi numerosi scatti catturano istanti di dolore e povertà, ma allo stesso tempo conferiscono una voce a tutti coloro che sono ritratti, consentendo loro di denunciare in modo indiretto le atrocità subite.
Foto come dipinti quelle di Don McCullin al quale non è mai piaciuto semplicemente scattare, ma far rivivere allo spettatore la sua stessa esperienza, mettere nella composizione, oltre a ciò che si vede nella realtà, anche se stesso. Nelle prime sale dell’esposizione ci sono la sua Londra, il lavoro per l’Observer e il viaggio a Berlino negli attimi in cui è stato costruito quel muro di cemento che avrebbe diviso l’anima dell’Europa per 28 lunghi anni. Dall’invasione di Cipro, i suoi mirini continuano a incorniciare conflitti, da quello del Biafra e Vietnam all’Irlanda del Nord.
Dopo le guerre, McCullin torna a concentrarsi sulla Gran Bretagna, quella delle fabbriche martellanti e della povertà estrema che, a dir suo, cancella la geografia, «perché vedere quei senzatetto è altrettanto tragico che andare in Africa e coprire alcune delle guerre che lì si combattono. Gli esseri umani sanno come soffrire e la sofferenza non è qualcosa che riusciremo a estirpare».
Oltre a eccellere nel ruolo senza pari di fotografo di guerra, nella carriera di Don McCullin ci sono oltre quarant'anni di fotografia paesaggistica durante i quali ha sviluppato una visione autentica ed evocativa della natura britannica e scozzese. La sua terra, un rifugio per il resto della vita, dove poter incontrare a cielo aperto i suoi demoni. A riguardo, risultano meravigliose e, allo stesso tempo, tragiche le sue parole: «Allora, ovunque c’è colpa, perché non sono religioso, colpa perché non sono stato capace di andarmene via mentre quest’uomo moriva di fame o veniva assassinato da un altro uomo con una pistola. E io sono stufo di non sentirmi in colpa, stufo di dire a me stesso: “Non ho ucciso quell’uomo nella fotografia, non ho fatto morire di fame quel bambino”. è per questa ragione che voglio fotografare paesaggi e fiori. Mi sono autocondannato alla pace».
Paesaggi e fiori appaiono anche nel ciclo delle nature morte -famosa quella della statuetta del cavallo tra i funghi-, composizioni ispirate ai maestri olandesi e fiamminghi che gli hanno consentito di esprimere una forma di evasione ancora più intensa rispetto ai paesaggi. A concludere il percorso le foto dedicate all’Impero Romano, il suo ultimo grande progetto chiamato Frontiere del Sud iniziato durante questo nuovo millennio e non interrottosi nemmeno negli anni della pandemia. Per dare vita al suo progetto, McCullin ha viaggiato attraverso il Marocco, l'Algeria, la Siria e il Libano, visitando siti molto significativi non solo per il loro passato, come Baalbek, Volubilis e Palmira. Queste città incarnano l'ambivalenza straordinaria dell'Impero Romano, le immagini riflettono l'eternità e il prestigio del marmo, ma anche le ombre oscure che simboleggiano coloro che hanno sacrificato la vita per una storia di trionfi che non appartenevano loro.
Info sulla mostra:
Don McCullin a Roma a cura di Simon Baker Roma, Palazzo delle Esposizioni fino al 28 gennaio 2024.
Articolo del
02/12/2023 -
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