Una camera spoglia, un letto, un tavolo con una vecchia caffettiera, un fornelletto e pochi altri piccoli oggetti sparsi in disordine: siamo in un sotterraneo dell’Hotel Hilton, trasformato in una sorta di alcova dove Naomi (Giulia Fiume) e Abdul (Kabir Tavani) consumano la loro passione d’amore. Una piccola storia d’amore, potrebbe sembrare. Ma qui siamo a Tel Aviv, la città che non dorme mai, e Naomi è una ragazza ebrea mentre Abdul è un ragazzo palestinese. Siamo quindi in quel contesto infernale dove ogni piccola storia bussa di continuo alle porte della grande Storia chiedendo ascolto. Un ascolto che la grande Storia non concede mai! Così, mentre in superficie si consumano attentati, si convive con la morte sempre in agguato, si fatica a trovare forme di convivenza pacifiche, Naomi e Abdul si confrontano sulle diversità storiche, culturali, religiose. Ironizzano sulla Torah e sul Corano, si scrollano (o almeno tentano) dei pregiudizi delle due differenti etnie; si raccontano gli ostacoli che entrambi trovano nei loro mondi così distanti, nelle loro famiglie e nei loro amici. Mondi distanti che si toccano e si intersecano di continuo, e dove i diversi non sono poi così diversi. Sognano un mondo che permetta loro di uscire allo scoperto, sognano di potersi unire in matrimonio, sognano di poter un giorno vedere finalmente realizzato quel progetto utopistico dei due popoli due stati. Sognano utopie, Naomi e Abdul, ma le utopie dei forti sono le paure dei deboli. Siamo, come è evidente, di fronte ad un testo che è di una attualità sconcertante. E che sembrerebbe scritto oggi per descrivere la drammatica realtà a cui ogni giorno, da quel maledetto 7 ottobre del 2023, assistiamo impotenti. Invece l’autore Mario Moretti lo ha scritto nel 2005. E quindi oggi dobbiamo necessariamente constatare che i sogni e le speranze di Naomi e Abdul, dopo quasi 20 anni sono naufragati, dissolti sotto le ceneri delle macerie, insieme a corpi martoriati di donne, bambini, civili inermi che avrebbero volentieri rivendicato gli stessi sogni e speranze dei due protagonisti. Uno spettacolo bellissimo. Attori pienamente credibili nel difficile ruolo di personaggi esasperati, appartenenti a due popoli che avrebbero bisogno di uno psicologo collettivo. Attori pienamente immersi in una recitazione che li costringe a camminare sempre in bilico su quella barriera fratricida che si frappone ad ostacolo del loro amore, con continui sconfinamenti nell’altrui mondo ideologico che genera fratture sempre risanate con l’ironia o con la passione. E soprattutto una regia efficace, che attraverso una ricostruzione scenografica che tanto somiglia ad un bunker, porta lo spettatore ad immedesimarsi con un amore imprigionato, soffocato dal contesto esterno, un amore che spinge per conquistarsi un suo infinitesimo posto nel mondo, alla luce del sole. Una piccola pietra necessaria per costruire una casa comune, un grande edificio di pace; una piccola storia d’amore, che richiama tutti a profonde riflessioni e che merita di entrare a buon diritto nella grande Storia. Perché i sogni, le speranze e le utopie di Naomi e Abdul sono anche le nostre, e vorremmo tutti che sia la grande Storia, un giorno, a raccontarcele!
Al Teatro Vittoria di Roma dal 23 al 28 gennaio 2024
Articolo del
25/01/2024 -
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