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Il PC è morto
12/12/2013 16.50.35
Fino a qualche giorno fa si poteva accedere alla versione gratuita della piattaforma di musica in streaming di Spotify, solo tramite pc. Chi voleva ascoltare l’enorme libreria musicale presente nel contenitore inventato da Daniel Ek su smartphone o tablet doveva pagare un abbonamento mensile o annuale.
A sorpresa ieri è arrivato l’annuncio, durante una conferenza stampa dello stesso Ek a New York, che le stime per il 2013 registrano un sensibile calo (oltre il 10%) dei fruitori del servizio gratuito via PC. E questo significa che la battaglia feroce sul segmento streaming, che vedrà presto in campo anche Google, si giocherà tutta sui tablet e gli smartphone.
Ed ecco perché a breve, sarà disponibile su cellulari, ipad e simili un servizio gratuito (anche se limitato) che permetterà di assaggiare le delizie offerte da Spotify senza la limitazione delle dieci ore di ascolto mensili, e con musica intervallata da spot o da messaggi vari.
Attualmente gli utenti della piattaforma in streaming “svedese” sono circa 20 milioni e di questi 6 milioni sono a pagamento. La notizia vera è che presto saremo interessati ad un progressivo allargamento dell’offerta con il Play Music All Access di Google e l’arrivo in Italia di Deezer, la rivale francese di Spotify.
Intanto mentre gli autori e i musicisti stanno a guardare, la vera notizia è che i fruitori di musica digitale si divideranno in due fazioni: quelli che ancora alimentano le proprie librerie di mp3 e di file di ogni estensione e quelli che si aggireranno “leggeri” nel mondo dello streaming.
E poi ci sono ancora quei pochi romantici che accendono l’amplificatore, spostano la puntina e fanno suonare le casse… anche solo per compiacersi che qualche differenza c’è tra analogico e digitale…
(f.b.)
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Cambiamento climatico
09/12/2013 17.00.06
La notizia girava da settimane ed era di quelle estreme. Una data ai confini del mondo per i Metallica che, grazie ad un contest organizzato dalla Coca-Cola, si sono esibiti in una stazione scientifica in Antartide per pochi fortunati fans provenienti da mezzo mondo.
Dalle foto, pubblicate sul profilo facebook del gruppo, la temperatura non doveva essere poi cosi rigida, con fans in maniche di maglietta e il gruppo che martellava sotto un bel sole circondato dal calore dei pochi fortunati che hanno subito con gioia una scaletta di dieci pezzi roventi (da Creeping Death a Seek and Destroy).
L’esibizione si è svolta, curiosamente in cuffia ed è probabile che avrà anche un seguito con la pubblicazione di questa session a meno qualche grado e, per stessa ammissione della band si è trattato del concerto più unico che abbiano mai fatto.
La notizia si accompagna all’annuncio ufficiale della data che vedrà i Metallica sul palco di “Rock in Roma” il 1° luglio del 2014… quando si passerà dai meno dieci gradi del polo sud ai cinquanta di Capannelle
(f.b.)
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Going Underground
06/12/2013 15.18.15
Almeno su Roma, siamo tornati agli albori. Quando ti affacci a concerti con 20-30 spettatori per gruppi che arrivano da oltreoceano c’è solo da constatare che non è per niente facile tenere accesa la fiamma della musica nell’ormai paludoso underground nostrano…
Il principio che ha sempre animato la c.d. musica underground è stato, all’origine, il bisogno di arrivare a un prodotto creativo attraverso una ricerca sonora fuori dai parametri commerciali tradizionali. Esiste ancora questa netta separazione di genere, o qualcuno ci marcia ancora pesantemente per mantere una sterile rendita di posizione?
Non conosco a fondo l’evoluzione della musica underground di altri posti che non siano Roma e dintorni. Da sempre ho osservato con interesse e rispetto le sollecitazioni che arrivavano alla nostra periferia dell’Impero, da Londra, da New York, da Parigi e da Berlino. La sopravvivenza in Italia di una cultura musciale indipendente è sempre stata ispirata da stili di vita e modelli creativi importati dal mondo anglosassone (punk, dark, mods e via dicendo), con una piccola particolarità da non trascurare: ad ogni diversa sfumatura di queste sottoculture, strettamente musicali, si è sempre associata una connotazione politica.
Al'inizio, i mitici anni ottanta, questo era giustificato dalla difficile e controversa situazione politica del nostro paese, fortemente condizionata dal dualismo tra comunisti e non comunisti, tra rossi e neri. In mezzo a questa tenaglia si sono mossi con difficoltà tutti i nuovi musicisti e creativi dell’epoca, dovendo sempre rispondere alla domanda: ma tu sei schierato? Sei di sinistra o di destra?
E’ una vecchia maledizione che ha permesso alle teste piatte (non solo a quelle rasate), di massificare anche il variegato mondo della cultura musicale underground con una forte connotazione di appartenenza politica (redskins vs skinheads, zecche vs pariolini, mods rossi vs mods non allineati). In Italia, nelle grandi realtà metropolitane, ancora sopravvive questo approccio ideologico e, quello che meraviglia di più, è che è stato tramandato a quegli sparuti giovani eredi delle diverse culture underground che si ritrovano a dover scegliere se schierarsi sul versante rosso o in quello nero.
E’, probabilmente, solo la coda nostalgica e decadente di un fenomeno, quello delle sottoculture musicali indipendenti, che si esaurirà per un fisiologico calo delle vocazioni, ma che ancora oggi esercita una certa influenza su un terreno creativo dove dovrebbero nascere le nuove idee innovative per dare nuova linfa alla musica e lo stimolo per nuove mode alternative.
Ad oggi, il nostro underground è ancora condizionato da questa eredità ideologica che pervade, più in generale, quasi tutti i settori del Belpaese. E’ questo un problema che si devono incominciare a porre i musicisti che vogliono dire qualcosa di nuovo, ma anche gli organizzatori dei concerti ,i giornalisti musicali e i cacciatori di talenti.
Quando l’affascinante mondo della musica underground comincia a puzzare di muffa è arrivato il momento di aprire tutte le finestre, sempre che si riesca ancora a stimolare la voglia del pubblico di scendere negli scantinati per scoprire nuovi mondi.
(f.b.)
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Dress Code
21/11/2013 13.38.59
L’attesissimo tour degli Arcade Fire è appena iniziato con le date nordamericane e già fa notizia. Ma non per gli infuocati sold out, quanto per una postilla annessa all’acquisto del biglietto: chi volesse partecipare ai loro concerti deve presentarsi vestito di tutto punto, giacca e cravatta per gli uomini, abito elegante per le donne.
Questa bizzarra richiesta è già valida per le prime date americane, mentre ancora non è noto ufficialmente il calendario delle date europee. Intanto nella loro prima uscita londinese, al Roundhouse, qualcuno dei fortunati partecipanti ha ovviato alla provocazione di Win Butler e co., mettendosi in maschera e aggirando in maniera surreale il dress code imposto dagli Arcade Fire.
L’iniziativa non è nuova e ricorda i capricci di Prince che per il suo “Purple Rain Tour” pretese che ogni partecipante ai suoi concerti indossasse almeno un indumento viola.
Ma quello che scatena le proteste successive all’annuncio degli Arcade Fire è quel tipo di pretestuosità tipico delle starlette da quattro soldi. Il gruppo canadese, dopo il costante e crescente successo degli ultimi anni, si poteva inventare qualcosa di più innovativo e coreografico, anche se da quello che trapela dall’entourage della band, tale richiesta è motivata dal vezzo di confezionare un homevideo della prossima tourneè dove il look del pubblico sia coerente con quello sfoggiato sul palco dai componenti degli Arcade Fire.
In realtà sarà curioso vedere se questa clausola del “dress code” elegante verrà applicata rigidamente e quali potranno essere le conseguenze agli ingressi dei cancelli quando decine o centinaia di spettatori muniti di biglietto dovessero essere lasciati alla porta perché non ritenuti all’altezza del vestiario richiesto per l’occasione. Sicuramente potrebbe nascere qualche problema antipatico, magari scoppierà pure qualche rissa, oppure si creerà quell’atmosfera nostalgica tipica delle discoteche in stile Club 54 quando dopo ore di fila si veniva scartati all’ingresso perché ritenuti non abbastanza cool per il prestigioso locale.
E se il tour dovesse toccare anche l’Italia cominciate a rispolverare il completino di Armani e di Dolce & Gabbana..oppure ancora meglio.. una bella maschera di Pulcinella
(f.b.)
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La bella e la bestia
19/11/2013 13.19.10
Ascoltando 'Long Time Gone', il primo singolo del disco Foreverly in uscita nei prossimi giorni e già disponibile in streaming, si può assaporare una ghiotta anteprima del curioso binomio tra Norah Jones e Billy Joe Armstrong.
E l’effetto è piacevole. L’idea del cantante dei Green Day di rendere omaggio agli Everly Brothers, uno dei gruppi seminali della grande tradizione americana, farà piacere non solo agli appassionati del rock delle origini. “Songs Our Daddy Taught Us”, il disco degli Everly Brothers uscito nel 1958, è stato di ispirazione a molti dei grandi chitarristi e compositori inglesi e americani degli anni sessanta.
Ma per ottenere il massimo risultato in questa operazione di raffinato revival, Billy Joe Armstrong aveva necessità di nobilitarlo con un’interprete di alto rango. Ed ecco perché, grazie ad un fortuito incontro tra i due durante uno show insieme a Steve Wonder, il cantante dei Green Day ha alzato il telefono e ha chiesto a Norah Jones di chiudersi per nove giorni in uno studio e registrare le tracce di Foreverly.
Un appuntamento al buio, come loro stessi lo hanno definito, che è stato facilitato dalla passione comune per gli Everly Brothers. Un fuori pista che rivela un lato nascosto di uno dei paladini del punk e conferma la grande versatilità della divina Norah
(f.b.)
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Polvere di stelle (anzi di Rockets)
17/11/2013 4.20.50
Per un breve periodo, soprattutto in Italia, i Rockets imperversavano in televisione con il loro look futuristico (ripreso ironicamente da Elio e le Storie Tese a San Remo nell’esibizione finale della “Terra dei Cachi"), inscenando spettacoli dal vivo carichi di effetti speciali e di raggi laser.
Lo “space rock” del gruppo francese era in realtà uno scimmiottamento a metà strada tra i Kraftwerk e i Cugini di Campagna, ma la loro versione di “On the Road Again” fu talmente azzeccata per quel periodo da lanciare i Rockets nelle parti alte delle classifiche nostrane, coronando il successo di vendite con la vittoria del Telegatto nel 1980 come miglior gruppo straniero.
Era un’altra epoca, e mentre oltremanica e oltreoceano esplodeva la new wave e si affermavano Bruce Springsteen e gli U2, l’Italia rendeva gli onori a questo gruppo di extraterresti destinato a scemare presto con la fine dell’effetto sorpresa e un loro veloce ritorno nell’anonimato. Oggi i Rockets tornano agli onori delle cronache grazie a una vicenda piuttosto squallida, una specie di truffa assicurativa alla Totò e Peppino.
Fabrice Quagliotti, uno dei superstiti della formazione originale, che vive in Italia, dalle parti di Como, è stato denunciato dalla Procura per simulazione di reato, avendo denunciato il furto dalla sua abitazione del disco d’oro e di quello di platino, riconoscimento dato ai Rockets grazie all’enorme successo di vendite di Plasteroid datato 1979. Per tale furto, avvenuto nel 2010, Quagliotti aveva già riscosso diecimila euro dall’assicurazione inscenando su facebook un appello affinchè fossero restituite le due reliquie per il loro enorme significato affettivo…. Ma il fatto più grave è che questa vicenda è venuta fuori perché, non contento del rimborso per il falso furto dei due dischi (d’oro e di platino), Quagliotti c’ha riprovato, senza successo, simulando il furto della sua Bmw che, in realtà, aveva affidato ad un immigrato per rivenderla in Senegal.
Un quadro desolante e decadente, da sottobosco criminale, così come da sottobosco musicale erano i Rockets, con i loro effetti speciali da extraterrestri della musica…
(f.b.)
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