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A proposito dei Fratelli Coen
11/02/2014 13.31.36
Questa non è la recensione dell’ultimo film dei Fratelli Coen, ma piuttosto una nota a margine di una serata al cinema che ha lasciato qualche strascico. “A proposito di Davis” è l’ultimo della lunga serie di capolavori di Joel e Ethan Coen. Questa consapevolezza ha riempito all’inverosimile il cinema domenicale di una sala del centro di Roma, con personaggi noti e meno noti. Sta di fatto che mi sono trovato accanto il Chicco Testa di turno che ha guardato gran parte del film giocando a solitario con il telefonino.
Ma l’annotazione principale dell’ultimo dei fratelli Coen sta in una conferma del loro amore viscerale per la musica. Si può dire molto sulla trama, sui retroscena e le allusioni presenti nel film che richiamano verosimilmente il periodo del Greenwich Village di New York (prima che Bob Dylan vi facesse la sua apparizione), eppure quello che risalta di più è l’incredibile sensibilità del duo di Minneapolis, di miscelare la pellicola e la musica in una maniera che non ha precedenti. “A proposito di Davis” è uno dei casi cinematografici in cui il film fa da colonna visiva alla colonna sonora senza correre il rischio di sfociare nel territorio documentaristico.
Nel film canta il protagonista, Oscar Isaac, ma anche Justin Timberlake, che come cantante diventato anche attore ha preso parte alla realizzazione della musica in toto. Canta anche Carey Mulligan, attrice voluta fortemente dai Coen, che hanno scoperto aver anche doti canore (già aveva fatto un assolo in Shame). E canta Stark Sands, attore e voce di Broadway. Molti di questi brani sono eseguiti integralmente.
I fratelli Coen riescono a valorizzare, cosi come già abbondantemente dimostrato in alcune pellicole precedenti, un patrimonio della musica americana concentrato soprattutto tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni sessanta. Una scelta non casuale che inquadra quel periodo fondamentale senza cui non sarebbero mai potuti esplodere i grandi miti della musica rock e folk di fine novecento. Non a caso questo è il quarto film in cui si conferma la collaborazione con il produttore musicale T Bone Burnett, il celebre musicista che ha suonato con Bob Dylan nel suo Rolling Thunder tour.
(f.b.)
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Justin Biberon
06/02/2014 4.14.35
Ce ne fossero di “musicisti” che nel 2014 hanno avuto la fortuna di vendere 20 milioni di copie tra cd e supporti vari. Uno di questi è proprio lui, il quasi ventenne canadese Justin Bieber che da quattro anni a questa parte ha inanelato un successo dietro l’altro in un’epoca in cui la vetta del successo può durare al massimo una mezza stagione.
E, al di là di ogni considerazione pedagogica, tutto quello che poi è successo intorno al fenomeno Bieber è quasi fisiologico, tra risse e pestaggi di fotografi, la droga e gli incidenti in stato di ubriachezza. Cosa c’è di nuovo sotto il sole?
Quello che sta facendo la giovane star canadese non è per niente diverso dalle epiche imprese di tanti altri musicisti che sono diventati famosi in un’età in cui prima si fanno le cose e poi si pensa a quello che si è fatto. Ma Bieber, al di là del fatto che la sua musica è degna solo per fare da colonna sonora su un ascensore, è inarrestabile. Nel giro di pochi giorni si è fatto beccare a Miami ubriaco a duecento all’ora, ha visitato la casa di Anna Frank scrivendo sul libro dei visitatori che era un peccato che la giovane ragazza non avesse avuto l’occasione di diventare una sua fan, è andato al Super Bowl con gli amici su un aereo privato costringendo i piloti a mettere le maschere per l’ossigeno perché l’abitacolo era saturo di fumo da cannabis.
Cosa c’è di nuovo in tutto questo? Niente all’apparenza, neanche la sorpresa di registrare una petizione popolare sul sito della Casa Bianca firmata da 250.000 cittadini americani che richiedono l’espulsione del giovane Bieber dal sacro suolo statunitense. A questo punto il colpo di scena… Sabato 1 febbraio lo staff di Bieber ha affittato una mega villa con piscina per celebrare la purificazione della povera popstar deviata sotto l’egida della Hillsong Church di New York. Sembra la sceneggiatura di un film da cassetta hollywoodiano, eppure è solo l’inizio di un tormentone che può riservare diverse sorprese. Magari anche che un giorno, il fortunato ragazzino canadese, cominci a fare il musicista.
(f.b.)
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Ferro battuto
27/01/2014 18.31.10
La storia delle gabelle è lunga e controversa. Sulla questione delle tasse, giuste o ingiuste che siano, sono caduti imperi e si sono ribellati nei secoli i popoli di mezzo mondo. Ma al di là della loro odiosa origine, le tasse vanno pagate e quelli più allergici a farlo sono spesso le grandi star. Per una questione dell’ eccessivo carico fiscale imposto da Sua Maestà, i Rolling Stones sono emigrati in Francia all’inizio degli anni settanta e in quel periodo hanno partorito un doppio lp, Exile on Main St., che rimane un loro capolavoro indiscusso.
All’inizio del ventunesimo secolo, il grande Luciano Pavarotti patteggiò con il fisco italiano un pagamento di 25 miliardi delle vecchie lire, dopo aver eluso le tasse con il solito vecchio metodo del trasferimento della residenza all’estero. Adesso è il turno di un altro notabile della musica italiana, quel Tiziano Ferro che pensava di cavarsela acquistando una casa a Manchester e abbonandosi in palestra per dimostrare che fosse abitualmente in Inghilterra, mentre conduceva la sua vita nella natia Latina.
Il suo ricorso è stato respinto e ora dovrà pagare al Fisco italiano le tasse su redditi evasi per 3 milioni di euro.
E’ vero il detto che nessuno è fesso in patria, ma ormai anche il più disinformato dei nostri concittadini milionari dovrebbe sapere che chi sta sotto la luce dei riflettori sta automaticamente sotto la lente d’ingrandimento degli ispettori del fisco.Quindi per fare gli emigrati come si deve, bisogna effettivamente trasferirsi all’estero e magari, come hanno fatto Mick Jagger e soci, assaporare in questo esilio il gusto e la nostalgia di casa.
(f.b.)
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C’era una volta Mtv
06/01/2014 16.24.45
Dopo aver ridimensionato i giganti dell’industria discografica adesso il web attacca senza pietà anche i network televisivi musicali costringendoli a rapidi cambi di rotta per trovare nuovi mercati e, soprattutto, per sopravvivere. Il fenomeno Mtv, che per almeno vent’anni ha dominato incontrastato sui canali di mezzo mondo fornendo inizialmente tonnellate di video e contenuti musicali, è costretto oggi a fare i conti con un calo spaventoso di audience.
Mtv Italia, dopo aver notevolmente rivoluzionato i palinsesti con una graduale trasformazione a canale generalista a scapito della tradizionale programmazione di video e concerti, è in piena ritirata strategica. Oltre a dover ricorrere a molti e dolorosi licenziamenti, il canale musicale che per anni ha avuto un quasi monopolio dell’audience adolescenziale e giovanile, deve reinventarsi per sopravvivere sul mercato.
Un declino che è stato coraggiosamente combattuto con la sperimentazione di nuovi format (I soliti idioti, Il Testimone, ecc.) ma che non sembra essere sufficiente a soddisfare le aspettative di Viacom, la multinazionale che è subentrata a Telecom nella proprietà del network italiano di MTV. Sicuramente su questa crisi, pesano una serie di clamorosi errori del recente passato, testimoniati dalla grande anarchia di contenuti che ha caratterizzato l’ultimo periodo di Mtv, soprattutto sui canali del digitale terrestre.
E’ vero che ormai l’importanza del videoclip nell’ambito musicale è notevolmente calata, ma un network che aveva il primato assoluto in termini di fornitore di anteprime e di cultura musicale, non può pensare di mantenere il suo pubblico con un palinsesto che propone programmi a metà tra il Grande Fratello e le inchieste della Gabanelli. Difficile dare consigli in un marasma cosi complesso come quello dell’offerta televisiva, ma a questo punto le uniche scelte possibili per Mtv sono quelle o di ritornare ad essere l’ammiraglia dei contenuti musicali o cambiare completamente pelle per competere con quei canali, tipo Italia 1, che ogni tanto inseriscono in mezzo alle pubblicità, qualche programma ad uso e consumo del famigerato targer giovanile.
(f.b.)
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C’era una volta Mtv
06/01/2014 16.24.10
Dopo aver ridimensionato i giganti dell’industria discografica adesso il web attacca senza pietà anche i network televisivi musicali costringendoli a rapidi cambi di rotta per trovare nuovi mercati e, soprattutto, per sopravvivere. Il fenomeno Mtv, che per almeno vent’anni ha dominato incontrastato sui canali di mezzo mondo fornendo inizialmente tonnellate di video e contenuti musicali, è costretto oggi a fare i conti con un calo spaventoso di audience.
Mtv Italia, dopo aver notevolmente rivoluzionato i palinsesti con una graduale trasformazione a canale generalista a scapito della tradizionale programmazione di video e concerti, è in piena ritirata strategica. Oltre a dover ricorrere a molti e dolorosi licenziamenti, il canale musicale che per anni ha avuto un quasi monopolio dell’audience adolescenziale e giovanile, deve reinventarsi per sopravvivere sul mercato.
Un declino che è stato coraggiosamente combattuto con la sperimentazione di nuovi format (I soliti idioti, Il Testimone, ecc.) ma che non sembra essere sufficiente a soddisfare le aspettative di Viacom, la multinazionale che è subentrata a Telecom nella proprietà del network italiano di MTV. Sicuramente su questa crisi, pesano una serie di clamorosi errori del recente passato, testimoniati dalla grande anarchia di contenuti che ha caratterizzato l’ultimo periodo di Mtv, soprattutto sui canali del digitale terrestre.
E’ vero che ormai l’importanza del videoclip nell’ambito musicale è notevolmente calata, ma un network che aveva il primato assoluto in termini di fornitore di anteprime e di cultura musicale, non può pensare di mantenere il suo pubblico con un palinsesto che propone programmi a metà tra il Grande Fratello e le inchieste della Gabanelli. Difficile dare consigli in un marasma cosi complesso come quello dell’offerta televisiva, ma a questo punto le uniche scelte possibili per Mtv sono quelle o di ritornare ad essere l’ammiraglia dei contenuti musicali o cambiare completamente pelle per competere con quei canali, tipo Italia 1, che ogni tanto inseriscono in mezzo alle pubblicità, qualche programma ad uso e consumo del famigerato targer giovanile.
(f.b.)
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Amnistia in salsa Russa
21/12/2013 13.12.28
E dopo tanto inutile clamore, chi ha riportato in libertà le Pussy Riot sono gli stessi che le avevano messe alle sbarre nel marzo del 2012. Il caso si risolve per un’amnistia concessa dal presidente Putin in occasione dei vent’anni della Duma e in vista di possibili proteste ai Giochi Olimpici di Sochi del 2014.
Non ci poteva essere finale più deprimente per il caso scottante delle Pussy Riot, le tre musiciste russe arrestate con l'accusa di "teppismo e istigazione all'odio religioso" per aver osato mettere in scena, durante una celebrazione religiosa nella Cattedrale di Cristo Salvatore, un'esibizione non autorizzata contro il Presidente Russo Vladimir Putin.
Dopo un fugace processo, Nadia Tolokonnikova, Maria Alyokhina e Katia Samutsevich furono condannate a due anni di reclusione e ora vengono amnistiate con quella clemenza tipica dei grandi dittatori che per festeggiare un evento nazionale e per evitare contestazioni da parte della comunità internazionale, si alleggeriscono la coscienza attraverso concessioni munifiche. In realtà il provvedimento di amnistia anticiperà solo di qualche mese la scarcerazione delle due Pussy Riot che ancora erano detenute (Katia Samutsevich era uscita dopo un anno con la condizionale) visto che la pena si sarebbe esaurita nel marzo del 2014.
Tutta questa storia puzza di bruciato e si inserisce in un quadro di diplomazia preventiva in vista dei Giochi Olimpici che la Russia ospitera a Sochi dal 7 al 23 febbraio. Ma l’amnistia non cancellerà di certo l’immagine di questa Madre Russia sempre troppo indietro sui temi della libertà di opinione e dei diritti individuali.
E allora tanto di cappello al Presidente Obama che di tutta risposta ha scelto che a rappresentare gli Stati Uniti alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi invernali sarà Billie Jean King, la campionessa di tennis icona del movimento gay.
(f.b.)
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