Sin dagli albori delle prime civiltà, l'uomo, pur nella sua fisiologica precarietà, ha sempre cercato delle certezze assolute, delle stabilità immutabili, tendendo a qualcosa che potesse regolamentare la propria esistenza, una filosofia, una dottrina esistenziale, un centro di gravità permanente a cui conformarsi e da seguire: la natura mortale dell'uomo pone la sua esistenza costantemente in bilico, sempre soggetta alle insicurezze, in balia dei colpi della sorte, del destino o della provvidenza.
È perciò nell'indole umana cercare di porre un ordine all'astrusa indecifrabilità e all'apparente irrazionalità del significato degli avvenimenti. E come gli antichi ricercavano questo logos ordinatore dispensatore di certezze nella divinità, così il ricco lo cerca nelle ricchezze, il politico nel potere, l'artista nell'arte, il fedele in un Dio. I Baustelle, invece, nella natura più intima della stessa vita: uomini, lo so, la vita è tragica, la vita è stupida, però è bellissima. Bianconi intona qui i parametri di una vera e propria filosofia esistenziale: la vita non è solo tragica e stupida, ma è anche inutile tanto quanto un soprammobile, e proprio in virtù della sua inconcludente sterilità bisogna pensare che essa non sia niente di più che una vana sciocchezza, una delle tante nugae come direbbero i latini, da vivere con saggia leggerezza e calcolato distacco. La virtù dell'uomo baustelliano sta dunque nella capacità di guardare agli avvenimenti della vita da una prospettiva più ampia e serena, capace di trascendere le quotidiane piccolezze che portano gli uomini stolti a inutili contrasti di impedimento al raggiungimento di uno stato di atarassia, attribuendo il giusto peso ad ogni cosa.
D'altra parte, le preoccupazioni e le inquietudini della vita, se considerate tutte degne di ponderazione, sarebbero così tante da rendere più facile la scelta della morte piuttosto che quella della stessa vita. Sorvolare placidamente sui propri tormenti è perciò l'accorato messaggio che il testo rivolge agli uomini per vivere serenamente la propria breve esistenza, in attesa della sicura morte: è usanza molto comune tra gli uomini distinguere tra coloro che ce l'hanno fatta, che hanno vinto, che hanno raggiunto ciò che volevano, potere, fama, successo, e i perdenti, gli sconfitti, gli ultimi. Ma, cari uomini, ricordate che vivendo state giocando a un gioco senza vincitori, proprio perché tutti accomunati da un'identica sorte immutabile e indubitabile che raggiungerà tutti, forti e deboli, coraggiosi e vili, sommersi e salvati.
Questo messaggio è accompagnato da una musica che ne accentua ancora di più il significato: in primo piano, violini elastici che costituiscono la parte fondamentale della melodia, un contrappunto che sottolinea il carattere quasi docile e sereno del significato del testo, in antitesi con la tipica musica rockeggiante marcata baustelle, generalmente caratterizzata da sonorità più aspre, ampio uso di bassi e batteria, e ritmi molto sostenuti. Da non dimenticare poi gli inconfondibili suoni synth, immancabili nella musica dei baustelle. Musicalmente il pezzo si presenta perciò singolare, forse più intimo, più riflessivo, più pensato, più docile e allentato musicalmente parlando, ritmicamente ondeggiante e trascinato. Dopo un ascolto pensato di questo brano viene dunque da chiedersi come bisogna vivere la vita: qual è il giusto peso da dare alle cose per vivere felicemente? Da quale prospettiva bisogna osservare gli avvenimenti della vita? È corretto straziarsi l'animo per delle cose apparentemente importanti che risultano però essere niente più che insignificanti piccolezze se osservate nell'ambito di un ordine cosmico superiore? Oppure sarebbe più saggio sorvolare con leggerezza e con una punta di menefreghismo sulle quotidiane controversie degli uomini? Ma è sempre la voce di Rachele Bastreghi che, già precedentemente nel 2010, cantava con materna dolcezza le risposte a queste domande. Non buttarti giù, che in fin dei conti c'è un azzurro che fa piangere oltre le nubi; e non soffrire più, che in fondo forse c'è al di là di Gibilterra un indaco mare.
E' un altro intenso appello ad avere fiducia, ma soprattutto perseveranza nel continuare a vivere nonostante le avversità e le difficoltà che la vita porta con sé, a non lasciarsi vivere passivamente, ma ad alimentare sempre una speranza per un futuro migliore, che sarà privo di preoccupazioni e affanni, più limpido e sereno, proprio come il commovente cielo azzurro che attende solo il suo momento di sbucare da dietro alle nuvole, o come l'indaco del mare oltre Gibilterra, in luoghi lontani ma pur sempre raggiungibili. Si tratta perciò di una forma di ottimismo ostinato e sicuro di sé, quasi illusorio e utopico, ricalcando nuovamente il concetto che già nel 1965 cantava Luigi Tenco: 'Vedrai, vedrai, vedrai che cambierà'. D'altra parte, proprio perché 'un bel giorno cambierà', che bisogno c'è di affliggersi per i dolori e le delusioni, turbando il proprio animo, quando è molto più semplice e indolore accettare ciò che la vita offre e credere nel mito del futuro migliore, convinti che tutto col tempo sistemerà?
A tempo debito l'uomo conoscerà così tanta bellezza nel mondo che non può impiegare il suo tempo affliggendosi mentre attende di conoscerla. Inoltre, un'altra causa intangibile per cui le sofferenze sono sempre vane e dannose è proprio l'inesorabilità dello scorrere del tempo, che non può in alcun modo essere arrestato; l'uomo però, nonostante questa chiara evidenza, continua a struggersi pretendendo di porre un controllo sull'incontrollabile per eccellenza: ogni cosa accadrà quando sarà il momento, le rondini partiranno e, con l'arrivo della morte, passerà il carro funebre, ma angosciarsi per questo non cambierà nulla, perciò è molto più saggio, con animo sereno e disteso, lasciar partire le rondini e lasciar passare il carro funebre. Questo sentimento di positiva arrendevolezza e conseguente serenità è, anche stavolta, ribadito dalla musica, mediante un ritmo abbastanza lento e diluito, come anche dalla melodia di modo maggiore, che, dilatandosi costantemente, subisce continue aperture e riprese.
La dinamica del pezzo può essere considerata stratificata, con i vari strumenti che vanno ad aggiungersi progressivamente l'uno sull'altro dando come risultato una melodia strutturalmente molto diversificata e, per la grande varietà di suoni e strumenti utilizzati, difficilmente riconducibile a un genere musicale specifico: il brano si apre con una lunga intro musicale, con un organo synth, che esegue accordi lunghi e tenuti che suggerisco sonorità simili a quelle del periodo del battiatismo sperimentale, ma possono anche essere somiglianti a un primordiale canto gregoriano, ancora melodicamente molto semplice e basilare; su questo bordone si inserisce successivamente un secondo strato, composto da un'altra linea melodica di uno strumento synth più sillabica e acuta, accompagnata da un basso, anche questo rigorosamente synth, che la sostiene con lente cadenze iniziali pesanti e appoggiate; il terzo velo che si aggiunge è costituito da un contrappunto di chitarra elettrica leggermente distorta e con un reverb più accentuato, vicino ad un rock dal sapore anglofono anni '70.
Dopodiché entrano in scena le voci di Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi che cantano l'intero testo all'unisono, seguendo una melodia estremamente cantabile e musicale, il cui testo appare dilatato a causa della lentezza ritmica del pezzo; le voci sono accompagnate da un metallofono che impreziosisce la melodia e da un'altra linea melodica synth simile ad un flauto quasi impercettibile nel momento in cui segue fedelmente le note del canto, dandogli più spessore, ma talvolta aggiunge altri piccoli dettagli mediante leggerissimi abbellimenti; segue poi la batteria che scandisce semplicemente questo tempo lento e rilassato, insieme all'orchestra di archi, i quali muovendosi insieme danno alla melodia complessiva un maggior senso di unità e coesione.
Sulla conclusione del testo, la musica si arresta quasi improvvisamente, restando sospesa per pochi istanti, in un momento di silenzio cui aumenta esponenzialmente la carica tensiva che viene dopo alcuni attimi scaricata nuovamente sul nuovo attacco della melodia che procede, solo strumentalmente, fino alla fine del brano, con ancora l'aggiunta delle svisature di un flauto che nuovamente modifica il genere di appartenenza del pezzo dando un gusto esotico.
La filosofia esistenziale proposta dai Baustelle è dunque racchiusa nei due pezzi 'La vita' dall'album 'L'amore e la violenza' e 'L'indaco' dall'album 'I mistici dell'occidente'.
A voi la scelta di seguirla, o di formularne una nuova.
Articolo del
20/01/2021 -
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