Con “Eden” ci aveva traghettati dentro un dream pop digitale molto figlio di quella filosofia lirica che tanto ci porta alla mente le tinte alte di Battiato o dei più nostrani Baustelle. E ora una deriva morbidissima, coerente e credibile firmata anche dalla produzione artistica di Franco Naddei (Fraconbeat) col suono analogico de L’Amor Mio Non Muore. Riccardo Morandini pubblica in digitale e vinile un bellissimo disco dal titolo “Il Leone Verde”, inno laico ed etero alle derive dell’Ego, alla sua emancipazione, ammorbidirsi e far pace con i propri limiti. Citando testualmente Il Leone Verde rappresentato nell’atto di divorare il sole, è il simbolo alchemico del vetriolo: un solvente in grado di fondere anche il metallo più tenace (l’oro simboleggiato dal sole). Un disco davvero molto interessante, mai scontato, ma risolto dentro confezioni pop da cassetta. La ricerca sembra abbracciare davvero direzioni non prevedibili…
Un nuovo lavoro che segue la pubblicazione di “Eden”. Cosa sta evolvendo, in cosa si sta trasformando secondo te? Se parliamo di generi musicali, siamo passati dall’indie pop del primo EP ad un disco con venature prog/psichedeliche, pur nei confini della forma canzone. Nel primo lavoro c’era anche dell’ironia e del sarcasmo, questo è più serioso, il primo era più estroverso, questo più introspettivo. Penso che a livello timbrico e dal punto di vista degli arrangiamenti “Il Leone verde” sia più raffinato, “Eden” aveva comunque una sua efficacia pop.
Suono acustico, vinili e quel certo modo di pensare anche all’elettronica. Senti di star ancora ricercando qualcosa? O sei giunto ad un equilibrio? Te lo chiedo perché sento i due lavori decisamente distanti… Per il prossimo disco ho già in mente delle direzioni diverse e mi sento solo all’inizio di un percorso di ricerca. Avendo ascolti molto eterogenei e frequentando molti generi musicali differenti, mi viene sempre voglia di esplorare nuovi mondi sonori.
Oggi secondo te chi sono i “Leoni verdi”? In realtà il titolo fa riferimento ad un’immagine utilizzata nei trattati di alchimia rinascimentali per indicare il vetriolo, solvente in grado di sciogliere anche il metallo più tenace: l’oro. Nel caso del mio disco ho utilizzato quest’immagine per simboleggiare la dissoluzione dell’ego. Volendo trovargli una collocazione nell’attualità, il verde è un colore che ultimamente ruggisce molto in politica e in economia, che sia strumentalizzato o sostenuto con sincerità. Forse è il colore dei tempi!
Sappiamo che tanto c’è da dire dietro l’ispirazione musicale di questo disco. A te la parola… Rispondo rimandando ad una playlist che si può trovare sul mio profilo Spotify intitolata Alchimie che comprende brani dei Radiohead, degli Area, dei King Crimson, di Battiato, dei C.S.I… Penso che ascoltarla possa essere un’efficace guida nel mondo sonoro di questo disco.
E poi in una bellissima preghiera laica che è “Unione” forse racchiudi tutto il disco: l’io come prigione… pensi sia davvero così? Uscirne o rimanerci dentro? Qual è la soluzione? Uscirne non penso sia possibile, se non con la morte. Nel disco vengono suggeriti degli stratagemmi per alleggerirne il peso. Si può cercare di guardare alla realtà secondo una prospettiva meno individualistica. In “Unione” c’è questo invito ad andare verso l’altro e a considerare l’interconnessione tra tutte le cose, se vogliamo secondo una concezione buddhista.
Articolo del
27/06/2022 -
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