Già autore (tra le altre cose) della “Bibbia” sui T. Rex, “Bolan: The Rise And Fall of a 20th Century Superstar”, il giornalista inglese Mark Paytress ha ora dato alle stampe la “sua” storia del periodo glam, un volume di largo formato di oltre 300 pagine e più di 600 illustrazioni intitolato “GLAM! When Superstars ROCKed the World, 1970-1974”, pubblicato (per ora solo in inglese) da Omnibus Press nel Regno Unito. Un libro - come ci ha spiegato lui stesso – totalmente diverso nell’approccio rispetto agli altri libri sul glam (ad esempio quelli di Simon Reynolds e Barney Hoskyns) usciti negli ultimi anni.
Partiamo dal titolo: una storia del Glam ma anche delle sue “superstar”. Guarda, in qualche modo non avrei voluto necessariamente chiamarlo “Glam”, perché la mia memoria, e anche le mie ricerche, mi dicono che quelli erano anni in cui questi artisti venivano chiamati “superstar”. Se ne parlava in termini di “superstar”, di “Bolan Mania”, “Mott Mania”, “Bowie Mania”… “Glam”, come descrizione del movimento, ha iniziato a essere usato verso la fine del ’72. E, molto rapidamente, sia Bolan che Bowie hanno iniziato a prendere le distanze da questa definizione. Oggigiorno gli storici lo chiamano, in toto, un “periodo Glam Rock”. Ma per il primo anno (1970) Bolan era “Cosmic Rock”. Il secondo anno (1972) si parlava di “Glitter Rock”, più che altro. E poi “Glam” è arrivato verso la fine del ’72. Quindi, più che altro si tratta di un’epoca contraddistinta dalle grandi superstar del pop. Ok, oggi noi lo chiamiamo Glam. Ma all’epoca c’era un altro concetto, perché tutte le riviste li chiamavano “superstar”… erano tutti definiti “superstar”. Prima di Bolan c’erano stati Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin… Erano [anch’essi] superstar, ma erano personaggi del rock. Ma ciò che fece Bolan, è che improvvisamente rese una “pop star” una “superstar”. E in seguito lo divennero anche tutti gli altri: il cantante dei Sweet, Dave Hill degli Slade… Bowie ovviamente. Quindi: il termine “Glam” è dovuto comparire nel titolo [del libro] perché è il modo in cui il pubblico in genere considera quel periodo, ma in realtà io ho raccontato la storia di una quindicina di artisti “superstar” in competizione tra loro. Una vicenda che è iniziata nel 1970 e poi si è esaurita nel ’74.
Esiste tuttavia un solido legame musicale tra questi artisti: tutti loro si rifecero al sound essenziale del rock’n’roll anni 50, aggiornandolo per le orecchie dei teenager dei 70. Certamente. Si trattò essenzialmente di due cose. Il sound era molto essenziale: un ritorno a un sound rock’n’roll basico, che penso fu innescato da Bolan con Get It On e Jeepster. E poi in seguito c’è un forte accento sul “beat”, che arrivò nel 1972 con il sound di Glitter, degli Slade… Un’enfasi molto accentuata su un “beat” molto vigoroso, che fu ripreso dagli Sweet, da Bolan… L’altro aspetto è quello visivo: l’idea di trasformare il pop in qualcosa di teatrale. Che è anche il motivo per cui ho inserito nel libro, anche in modo prominente, Alice Cooper. Perché lui, e la sua band, introdussero tutta quest’idea di teatralità. Ma anche l’idea di potersi divertire con il rock. Loro, Alice Cooper, non credevano nei valori degli hippie. Erano molto più intrattenitori americani mainstream, in qualche modo. Felici di shockare il pubblico. A loro non piacevano proprio gli hippie. E portarono il rock a diventare una “pantomima”. Se ti ricordi, Bowie disse in una famosa intervista a Rolling Stone: “Voglio far diventare il rock una pantomima, vestirlo e imbellettarlo come una prostituta. E divertirmici”. E penso che, sia ideologicamente che esteticamente, ciò sia all’essenza del Glam: divertirsi, essere teatrali. E Bolan fu il primo a emergere in maniera massiccia. Fu quello che portò una certa bellezza estetica, e un volto iconico, al Glam. Fu lui il volto del Glam all’inizio. E dagli inizi del 1971 alla metà del 1972 ruotò tutto intorno a lui.
Qualche anno fa hai pubblicato “Bolan: The Rise And Fall of a 20th Century Superstar”, la Bibbia su Bolan. Ma oltretutto un testo in cui hai ridato a Bolan la dignità e l’importanza che gli spettano, dopo un lungo periodo di sottovalutazione da parte della critica. Assolutamente. Nel 1971, quando emerse e divenne un idolo dei “teenyboppers”, diversi personaggi influenti del rock “mainstream” – alcuni Dj – pensavano ancora che stesse facendo dischi rock davvero validi e importanti: al livello di My Generation degli Who o di Satisfaction degli Stones. Pensavano che sarebbero rimasti, che sarebbero diventati dei “classici”. Una classica rockstar insomma. E la storia ci dice che avevano ragione a pensarlo. Ma le cose cambiarono per Bolan verso la fine del 1971. Perché lui sviluppò questo sound, il “T Rex sound”, con [Tony] Visconti, da Telegram Sam… Inoltre, si tirò indietro rispetto al pubblico “rock”, perché un sacco di gente aveva iniziato a prenderlo di mira. Dissero che era un traditore, per il fatto che aveva dei successi “pop”. Cosicché virò tutto il suo lavoro e la sua carriera verso il mercato del pop. Quindi sì, tutto ruotava intorno a Bolan. E fu uno shock per tutti quelli del mondo del rock. Perché il fatto è che lui non aveva molta credibilità, o status. Anche [la sua vecchia formazione] Tyrannosaurus Rex era un gruppetto strambo e anacronistico che i giornalisti non avevano mai preso davvero sul serio. Avevano un appeal presso la parte più eccentrica del mercato di Syd Barrett, con un carattere un po’ “novelty”. E fin dal 1970 apparvero i Led Zeppelin, i Deep Purple e i Black Sabbath, che avevano un rock sound molto più tosto, e i Tyrannosaurus Rex sembrarono un residuo del periodo hippie, dell’estate dell’amore…
E’ possibile che la fine della sua amicizia con John Peel (che l’aveva sostenuto molto) coincida con questa scarsa considerazione? Perché Peel da un certo punto in poi si rifiutò di passare i suoi dischi. E’ corretto. Quando uscì Get It On, John Peel ricevette una copia e – me l’ha detto quando lo intervistai anni dopo - pensò: “Se non fosse di Marc, non lo trasmetterei. E infatti non lo trasmetterò”. Perché voleva mantenere la sua integrità. Ma è strano, perché Get It On era un disco rock classico. Personalmente credo che in quel periodo Marc aveva iniziato a non rispondere alle telefonate di Peel. E Peel ebbe la sensazione che stava perdendo Marc come amico. Probabilmente ci sono due versioni di questa storia. Comunque sì, ci fu questo momento in cui i due litigarono. Ma dopo quest’episodio i T Rex suonarono al Weeley Festival, un festival rock alla fine di agosto del 1971 e ci fu una furiosa discussione tra T Rex e Faces su chi dovesse essere l’headliner. E la settimana successiva sulla stampa musicale fu un florilegio di articoli del tipo: “Rod Stewart e i Faces sono i nuovi dei del rock”, e anche: “Bolan è stato fischiato nel momento in cui è salito sul palco”. E io credo che quello sia stato il punto in cui pensò: “Che senso ha che io mi affanni ancora per cercare di raggiungere questo pubblico rock quando ho tutti questi teenager che mi amano, ai concerti per adolescenti?” Inoltre lui divenne più rigido nella sua direzione musicale. Prese un nuovo manager, Tony Secunda, che firmò degli accordi molto vincolanti per lui. Iniziò ad assumere cocaina, quando andò negli States. E si focalizzò totalmente sul creare questo “T Rex sound” per diventare la massima pop star. Quale, in effetti, era verso la fine di quell’anno [il 1971]. Tra l’estate di Get It On e la fine del 1971 fece dei grossi cambiamenti, e io penso che fu una ripercussione del suo distanziamento dal rock, e del suo innamoramento con un pubblico adorante, quello della cosiddetta “TRexstasy”.
Penso che sia possibile comunque dire che senza la “TRexstasy” Ziggy Stardust non ci sarebbe mai stato, ovvero: a Bowie non sarebbe mai venuto in mente un concept del genere. Concordi? Certo, se si pensa che [per tutto il 1971] Bowie stava scrivendo canzoni che Peter Noone avrebbe portato nelle charts [come Oh! You Pretty Things]. E per un lungo periodo Bowie aveva provato di tutto. Ma quando ritornò dall’America, alla fine di febbraio del ’71, credo che realizzò di desiderare di avere con lui una band un po’ alla Stooges o alla Velvet Underground. E inventò di sana pianta una band insieme al designer di moda Freddie Burretti: Arnold Corns. Ma poi, di lì a poco, si rese conto che avrebbe potuto essere, lui stesso, il “mainman” [nel senso di: il frontman di questa band, NdR]. Così, man mano, sviluppò il concetto di Ziggy. Ma è vero: se non fosse stato per Bolan, Bowie si sarebbe proposto in maniera un po’ diversa. Perché loro erano amici e anche rivali e si spiavano a vicenda fin dal 1964 o 1965. E c’era grande rispetto tra loro. C’è un’intervista con Bowie del 1970, in cui dice: “Marc Bolan è l’unico amico che ho nel mondo del rock, e fa cose fantastiche, in uno stile molto personale”. Si allontanarono, come è noto, quando registrarono The Prettiest Star. Bolan era piuttosto geloso, ritengo, del successo avuto da Bowie con Space Oddity. Dopo quell’episodio i loro rapporti furono un po’ tesi. Presero sentieri diversi dal punto di vista musicale. Bowie dopo THE MAN WHO SOLD THE WORLD abbandonò il rock per un po’, mentre Bolan riprese i riff di chitarra di Eddie Cochran (alla Summertime Blues) e decise, con Ride A White Swan, di prendere quella direzione. Bowie, in interviste rilasciate anni dopo, disse: “Stavamo tutti a guardare quello che faceva Marc nel 1971. Ogni passo che faceva”. Bowie era bravissimo a prendere idee da un altro artista e a farle sue. Lo fece senz’altro con Ziggy. Che era molto basato sulle idee di Bolan. Per dire: se ascolti Starman, ha anche un sound alla T Rex. E cita anche i T Rex nella canzone. Quando la fece dal vivo a Top of The Pops, Bowie menzionò anche Get It On nel testo. Il testo contiene anche i termini “cosmic” e “boogie” che sono parole assolutamente bolaniane. E inoltre, un’altra cosa che ho scoperto facendo le ricerche per questo libro, è che Bolan nell’estate del 1971 disse: “Voglio fare un film su un messaggero cosmico che viene dallo spazio, scende sulla terra, vede che casino che abbiamo fatto e se ne torna indietro dicendo: la terra è morta”.
E’ il plot di Ziggy Stardust, più o meno. E’ Ziggy Stardust! Penso che sia importante per capire che Bowie riprese quell’idea. E a Bolan suppongo che abbia dato estremo fastidio, ma non lo menzionò mai. Il tema di questo mio nuovo libro, il motivo ricorrente, è quest’amicizia/rivalità tra Bowie e Bolan. Tanto è vero che inizia con il loro primo incontro e finisce con la loro performance insieme al Tv di Bolan [“Marc” nel 1977, pochi giorni prima della sua morte, NdR]. Quindi, loro si controllavano a vicenda… E c’è stato molto amore reciproco in questo. Però allo stesso tempo credo che Bolan pensasse che Bowie aveva più talento. Non posso fare a meno di crederlo. Del resto Bowie aveva imparato tutto. Aveva recitato in teatro, scritto (o provato a scrivere) musical… Mentre Marc era… semplicemente Marc. Sapeva scrivere canzoni belle e semplici, dai testi favolosi, e aveva un look da sogno. Ma non aveva skill professionali. Anche quando parlava coi giornalisti, poteva essere molto duro con loro, e giocava a fare l’arrogante, tipo “Sono la grande pop star”. Magari non era intenzionale, ma era molto naif in queste cose. Al contrario, Bowie era molto bravo ed era amichevole con i giornalisti. Non li considerava suoi nemici, e sapeva stare al gioco. Bowie del resto era middle class, e suo padre lavorava come PR. Ovviamente Bowie aveva un grande talento e un immenso carisma. Ma era più molto più bravo in queste cose, ed è per questo che ha avuto una così lunga carriera.
Il mito di Bolan quale n.1 della scena resiste per tutta la prima metà del 1972. Ma poi esplode Ziggy Stardust, irrompono sulla scena altri divi quali Slade, Roxy Music e Mott the Hoople, e Bolan sembra sbiadire. Questo può essere dovuto anche a un declino della qualità dei suoi dischi? Mah, io penso che THE SLIDER fosse un perfetto album glam pop/rock. Ed era molto sofisticato, ma forse certe cose non vennero comprese all’epoca. Alcuni giornalisti dissero che Bolan stava cominciando già a ripetersi. Ma Bolan [in quel disco] stava esplorando il lato dylaniano o coheniano che c’era in lui. Nel senso: questa sensazione di tristezza nell’essere al top. Un senso di fatalismo. Se guardi il retrocopertina di THE SLIDER, c’è lui visto da dietro. Quindi, in copertina c’è lui in versione star del cinema muto, in un’immagine sfocata: sembra quasi che lui non sia davvero lì. Ed è questo il punto, per quanto riguarda Bolan: c’è in lui un senso di transitorietà, e li puoi vedere in quella foto. E anche all’interno delle canzoni: lui ci manifesta le sue profonde paure e preoccupazioni. Nelle liriche c’è una tristezza, la si può percepire chiaramente. Penso che la gente non le abbia ascoltate bene all’epoca. Stava facendo i conti con una lotta interiore. E penso che quella lotta continui anche su TANX. Non penso che lui sapesse con chiarezza dove stava andando. Visconti voleva che lui facesse un tipo di album all SGT. PEPPER, qualcosa di sofisticato. Ma il risultato è una cosa a metà. Ma poi fece Solid Gold Easy Action ad agosto. Ed era lui che aveva scritto una canzone in 10 minuti, dimostrando con una meravigliosa arroganza: “Guardate un po’ qua: sono in grado di comporre una hit che va al n.2 in 10 minuti”. Ma questo era ciò che lui era bravissimo a fare. Bowie forse era più sofisticato, e ci metteva ore a perfezionare Life On Mars? al pianoforte. Mentre Bolan era uno che base le tirava fuori dal cilindro – canzoni molto semplici ma estremamente efficaci. E c’era un senso di magia in ciò che riusciva a fare. Quindi, le sue canzoni era ancora buone, i 45 giri in particolare. Pensa al primo del 1973: 20th Century Boy. Spettacolare! In realtà, lì lui cercò di riapprocciarsi al mercato del rock. Lo definì un singolo alla “Led Zep Rex”. Il problema fu la sua mancanza di direzione. Non credo che sapesse dove voleva andare. In particolare, con TANX, lui perse una buona parte del suo pubblico nel 1973. E sì, hai ragione, in tutte le poll, Bowie era in alto, gli Slade erano in alto, e Bolan era sceso. Aveva fatto uscire Born To Boogie in quel periodo, e fu oggetto di forti stroncature. Credo che nella seconda metà del 1972 vennero tutti fortemente affascinati da Bowie. E credo anche dagli Slade, dagli Sweet e da Glitter. Ebbero tutti delle hit, nello stesso periodo di Starman. E questo gettò in confusione Bolan, perché improvvisamente non era più il numero uno. Bolan odiava Glitter, Slade e Sweet, perché pensava che stessero dando una versione annacquata di quanto faceva lui. E ovviamente non gli piaceva che Bowie avesse rubato le sue idee per i vestiti e tutto il resto. Loro in quel periodo non si parlavano. Quando ho intervistato Mick Rock, mi ha detto che Bolan gli aveva chiesto di fotografarlo. E Bowie non gliel’aveva permesso: “No, tu sei il mio fotografo. Non lo puoi fare”. Quindi ci furono un sacco di ripicche, ma principalmente da parte di Bolan, andando avanti con il 1972. Bolan disse: “Bowie non è abbastanza bravo per essere considerato al livello degli Slade, figuriamoci con me”. C’era un po’ un senso di negazione. E in questo stesso periodo si era anche un po’ nascosto. Aveva un nuovo appartamento, e aveva iniziato a eccedere con le droghe. E, considerando che era un tipo di corporatura piccola, non gli fece bene. Era un po’ uno straccio. C’è quella famosa volta in cui prese parte alle session di registrazione di BILLION DOLLAR BABIES di Alice Cooper in cui dovette essere riportato a casa a braccia, nell’ottobre o novembre del ’72. E poi c’è il fatto che non riuscì a sfondare in America. Sia lui che Bowie andarono negli States nel ’72. Bowie ci restò per tre mesi, dato che ebbe richieste per ulteriori concerti. Ma Bolan se ne tornò a casa dopo aver ricevuto recensioni non particolarmente buone. THE SLIDER non andò malissimo in classifica, ma Bolan era così determinato a sfondare negli States, e un sacco dei suoi sforzi andarono in quella direzione. L’altra cosa, una differenza chiave è che Bolan licenziò tutti: si liberò di manager, di John Peel, di tutta la gente che voleva aiutarlo… litigò con tutti, perché era convinto di potercela fare da solo. Mentre Bowie aveva questa organizzazione incredibile intorno a lui, la Mainman, che a metà del 1972 lo fecero diventare una star. Ed erano persone che sapevano come rapportarsi alla stampa musicale, sapevano come fargli avere successo in America. Mentre Bolan – perché lui, nella sua testa, era una star fin da quando aveva 8 anni – credeva di non aver bisogno di aiuto, non si faceva dare consigli dagli altri musicisti, non aveva un Mick Ronson… Bowie fu bravo anche in questo: a trovarsi un partner di talento come Ronson. E quindi, ripeto, ciò fu alla base del declino di Bolan: pensava di poter fare tutto da solo. Due anni prima, lui stava in un piccolo appartamento a Notting Hill, e conduceva la carriera dei Tyrannosaurus Rex come una piccola “cottage industry”: solo lui e sua moglie. Era qualcosa di minuscolo. E poi, improvvisamente, nel 1971, diventare la più grossa star del Regno Unito, con tutti i soldi e contratti da tutte le parti… Pensò di poter fare tutto da solo. Ma in verità non poteva. Quindi, questo fu molto importante nel suo declino.
E’ possibile dire che anche l’insuccesso del suo film “Born To Boogie” fu una brutta botta per lui? Non andò bene. Ebbe pessime recensioni. Certamente nella stampa rock apparvero pessime recensioni. Per via del fatto che la sua faccia era quasi in ogni fotogramma, fu visto come il massimo del “vanity cinema”. Era come se lui fosse Valentino, Garbo e Liz Taylor, racchiusi una persona. E questo non piacque alla stampa rock. Ai suoi fan piacque, ma … Durante il 1972, un sacco di fan si erano distaccati da lui. Se il film fosse uscito durante l’estate 1972 sarebbe stato un successo enorme. Ma il fatto che uscì intorno al natale 1972 non gli fu molto favorevole. E’ un buon “period piece” se lo si guarda adesso. Cattura la “TRexstasy” e la “Bolanmania” in maniera fantastica, anche se gli intermezzi surreali non sono granché. E fu un progetto ambizioso. Ringo Starr adorava Marc. Lui disse: “Tutti noi vogliamo essere Edy Lamarr quando siamo sul palco. E’ quello il punto di essere una pop star”. E Ringo adorava Bolan. Lui c’era passato. E Bolan adorava l’idea di avere coinvolto un Beatle. E poi anche Elton John… Tutti e tre adoravano l’idea di essere degli entertainer. Delle vecchie star di Hollywood in qualche modo.
A quel punto un sacco di band erano apparse sulla scia. Oggi si parla di High Glam e Low Glam. Come ti poni tu rispetto a queste definizioni? Guarda, in verità queste distinzioni c’erano anche all’epoca, anche se noi naturalmente non le chiamavamo High Glam e Low Glam. La stampa rock amava i Roxy Music e David Bowie. All’inizio accettava con riluttanza Marc Bolan ma poi sempre più iniziò a disprezzarlo. E in effetti apprezzavano anche Mott the Hoople e Slade perché erano “people’s bands”. Erano ottime band dal vivo con una base rockettara molto solida. E loro, in effetti, erano perfettamente a loro agio nel mezzo tra il mercato pop e quello rock. Perché i fan del rock, quando vedevano gli Slade dal vivo, magari non apprezzavano la loro immagine, ma quando li sentivano suonare Born To Be Wild e cose del genere, pensavano: “Dio mio! Questa è una vera rock band”. E la stessa cosa valeva per Mott the Hoople, per i quali avevano un enorme rispetto. Quindi loro non rientravano nelle definizioni di High e Low Glam, erano proprio nel mezzo. Ho dedicato ai Roxy Music un sacco di pagine, hanno un paio di capitoli nel libro. Perché erano un progetto art/glam. Ed erano assai talentuosi. Ma allo stesso tempo, il “Glitter Sound” era fenomenale: Mike Leander, il modo in cu ha inventato quel suono di batteria “glitter”. Incredibile. E gli Sweet. Fantastici 45 giri pop glam con un groove ipnotico. Gli Slade: dei singoli fenomenali. Sono stato molto equo in questo libro. In verità, quello che ho fatto è stato tornare ai giornali e ai dischi dell’epoca, e ho raccontato la storia nel modo in cui è più o meno successa. Non ho cercato di reinventare nulla. Un po’ come David Lynch quando ha fatto il film “The Straight Story”. Questa è un po’ la “storia lineare” del glam. La vedi che si sviluppa con ogni capitolo. Inizia con Bolan, poi Bolan-Bowie, poi i Faces, Mott the Hoople, quindi di nuovo Bolan… E’ una storia che si dipana. Un po’ come un montaggio alla Eisenstein. L’ho fatto in uno stile di montaggio, in qualche modo. E in questo modo, sono risucito a trattare tutti in modo equilibrato, penso. Perché alcuni dei dischi migliori sono quelli che provengono dal Low Glam, in verità. Tipo The Leader Of The Gang di Gary Glitter o Rock On di David Essex (verso la fine di quel periodo). Teenage Rampage degli Sweet: che singolo fantastico che fu! Quindi: ho cercato di non essere troppo “giudicante”. Ma ovviamente so che c’era quella discriminazione, già nel 1972, da parte della stampa rock.
Tu fai finire il libro nel 1974. Cosa fu secondo te che provocò il calo di interesse nel Glam? Ciò che ho fatto alla fine del libro, in verità, ho messo Bolan che parla di voler produrre Siouxsie & The Banshees. C’è una foto di lui e Siouxsie insieme. E un ritaglio di giornale in cui lui dice: “Ho conosciuto questa ragazza, Siouxsie, è fantastica”. E ho più o meno scritto: “i punk sono i figli della sua (di Bolan) rivoluzione”. Ho inserito questa cosa per dare un’idea di dove è sfociato tutto. Quello che ho fatto è: ho seguito i giornali dell’epoca, in cui Bolan, e poi Bowie, e quindi Mott, dicevano tutti: “Dio mio no, non vogliamo essere Glam. Il Glam è morto”. E dicevano questa cosa – Bolan la disse per primo – verso la fine del 1972. Ma ho lasciato che la storia continuasse fino al 1974, con Sweet, Slade, Suzi Quatro, Wizzard…E anche il nuovo tipo di Glam; ho scritto un capitolo su Cockney Rebel, Sparks e Queen. Perché i primi Queen avevano un lato teatrale molto spiccato, e Mercury aveva quella sua particolare sfacciataggine. Quindi sono arrivato al 1974, dopodiché sono tutti andati in America, gli Slade, i Sweet, Suzi Quatro… dove non ebbero un grosso riscontro. Mi sono fermato lì e non ho parlato dell’ondata successiva di gruppi, tipo i Bay City Rollers. Ho fatto morire il Glam quando le star hanno detto: “il Glam è morto”. E non parlavano neanche più di Glam. Ma poi ho scritto un capitolo finale in cui Bolan e Bowie – che erano andati in direzioni differenti – si ritrovarono insieme per il programma Tv “Marc” [nel 1977]. Perché era parte del filo conduttore del libro tra Bolan e Bowie, il motivo che ricorre nel corso della narrazione. E’ una buona maniera di concluderlo, e anche un modo per mostrare come il punk era esploso in quel periodo. Ma anche Alice Cooper è importante. Perché per tutti loro fu un momento di crisi, di cambiamento. Ed è a quel punto che tutto finì, secondo me. Bolan e Bowie dissero che il Glam era morto, Ian Hunter stava per sciogliere i Mott, Alice Cooper stava lasciando la band, i Sweet si stavano separando da Chinn e Chapman, gli Slade stavano cambiando la loro musica, discontandosi da quel sound con la batteria poderosa. Per non parlare dei Roxy Music, con Bryan Ferry che diventò qualcosa di diverso. Quindi il 1974 fu l’anno in cui tutto iniziò a sfumare.
Le nuove generazioni conoscono quell’epoca, io penso, principalmente dal film “Velvet Goldmine” di Todd Haynes. Tu che opinione hai di quel film? Ti è piaciuto? Non particolarmente. Ma non sono un grande appassionato di questi film sul rock. Ho detestato, per esempio, il Jim Morrison di Oliver Stone. E [“Velvet Goldmine”] fornisce un’impressione che è piuttosto distante da ciò che emerge, se ti vai a risentire i dischi o se ti vai a leggere le storie del tempo, nel momento in cui accadevano. Quindi, quel film me lo sono levato dalla testa subito dopo averlo visto, perché non mi ha molto appassionato. Ed è per questo che il mio libro, adesso, è un po’ l’“anti-“Velvet Goldmine”, in qualche modo. Mostra il modo in cui il Glam è cresciuto, un po’ a spizzichi e bocconi, e anche la sua varietà. Non abbiamo ancora citato Elton John, ma lui è stato uno dei primissimi a spingere sul lato teatrale, quando andò negli States. E lo chiamarono una “superstar”. E lui faceva il rock’n’roller sul palco… Prima di Bolan in qualche modo. Certo, non aveva quel tipo di immagine Glam, ma certamente spinse sul lato teatrale. Questa fu la grande epoca del rock teatrale. Anche le band del progressive si iniziarono a vestire in modo sfavillante. Ma il teatro è stato una parte integrale del Glam, come anche l’aspetto visivo e il sound, basato sui ritmi del primo rock’n’roll. Pensa a John Congos: Not Gonna Step On You Again, molto influenzato dal produttore di Gary Glitter, Mike Leander. Ma io ho cercato di riavvolgere il nastro, rispetto a tutto ciò che è stato detto e scritto sul Glam dopo il 1975. Ho semplicemente cercato di ritornare a quando avevo 12 anni e mi sono messo a rileggere tutte le riviste e tutti i giornali del tempo, e ho risentito nuovamente tutti i dischi… E son voluto tornare alla storia tradizionale di come tutto accadde, e di come, ad esempio: una settimana un artista era al top, la settimana successiva ce n’era un altro, e poi dopo un altro ancora. E’ una storia che si racconta da sola. Non viene raccontata dall’alto, è raccontata dal basso in qualche modo. E non ci sono solo Bolan e Bowie, ci sono tutti questi artisti in competizione, che credo si influenzassero a vicenda. Ad esempio gli Slade facevano un pezzo, e poteva influenzare il prossimo disco di Bolan o degli Sweet. C’era un’influenza reciproca. E nel modo in cui io ho raccontato la storia, puoi avere un senso di questa cosa. Ho cercato di raccontare come è accaduto tutto quanto, ma in un certo senso mi sono tirato fuori. Avrei potuto inserire un sacco di (mie) opinioni, ma non ho voluto farlo. Ho pensato: questa è versione “grezza” della storia del Glam e voglio lasciarla così. Me ne tiro fuori. Io dirigo il traffico, si può dire, ma cerco di non fornire opinioni sull’High Glan, Low Glam eccetera. Sono stati scritti molti libri sul Glam. Quello di Simon Reynolds, quello di Barney Hoskyns… Ma in nessun di questi hai la sensazione di leggere una vicenda che si dipana di settimana in settimana, con tutte le storie sottostanti. Ho pensato alle persone che “c’erano” in quegli anni e ho pensato che questo fosse il tipo di libro che vorrebbero leggere: “Oh ma certo: è così che è veramente successo. Io me lo ricordo”. Ed è un libro leggero. Non mi sono lanciato a elaborare teorie culturali, anche se avrei potuto, cose come gli studi sul gender, o i discorsi sulle classi sociali – tipo: le fan di Bolan erano ragazzine della middle class, i fan degli Slade erano working class – avrei potuto, ma ho preferito lasciare che la gente si facesse la propria idea, senza partire per la tangente. Ho mostrato il modo in cui le band si sono sciolte da sole. Puoi vedere fin dall’inizio che Rod Stewart doveva essere un artista solista e che cercarono di farlo diventare il frontman di una band. Cose di questo tipo. Le dinamiche interne dei gruppi.
Tutti questi artisti inglesi cercarono a un certo punto di conquistare il mercato americano, ma fallirono (solo Bowie ci riuscì ma in seguito, con un look e un sound differenti). Come mai secondo te? Solo Bolan portò Get It On (Bang A Gong) al n.10 negli USA, ma tutti gli altri fecero fatica. Vedi, la Gran Bretagna è un Paese piccolo, quindi fu piuttosto facile conquistarla velocemente, grazie a uno show televisivo che tutti guardavano. Inoltre la Gran Bretagna ha una tradizione di travestitismo. Mick Jagger una volta ha detto: se vai a una festa con gli amici, è inevitabile finire nella stanza della tua ragazza, mettersi a spulciare nel guardaroba e finire a indossare abiti da donna. Jagger disse che questa era “una tradizione molto particolare”. Ma negli States, queste cose non piacevano molto. Tutto il circuito dei concerti dal vivo era molto rockettaro. E quando Bolan, gli Slade e gli Sweet andarono a suonare lì, non vennero presi seriamente. Il mercato del rock e del pop era così differente. Quindi non seppero bene che direzione prendere. E’ per questo che personaggi come Bolan e Bowie ebbero un successo “locale” in alcuni posti – Detroit, Philadelphia, Los Angeles e New York – ma non riuscirono a conquistare l’intero Paese. C’era anche un sacco di pubblicità negativa negli States nei confronti degli artisti Glam. Perché tutta la cultura dei Lynyrd Skynyrd e degli Allman Brothers, e delle ragazze che indossavano t-shirt, era molto più macho. E ora non voglio fare i nomi di alcuni giornalisti, ma alcune delle cose che scrissero… Li chiamavano “checche inglesi” e cose del genere. Erano assolutamente sospettosi di tutta la faccenda del travestitismo. La cosa interessante è che i Kiss riuscirono a sfondare. E loro erano teatrali. Ma si presentavano come dei supereroi, non c’era nessun tipo di ego nella loro proposta. E penso che la stampa rock in America riteneva che Bolan, Bowie eccetera, fossero dei piccoli inglesotti con un ego. Stavano giocando a fare le pop star, mentre i Kiss non avevano quel tipo di problema di ego, anche se avevano i loro caratteri. L’America ama i supereroi piuttosto che dei ragazzi di Londra travestiti con scarpe da donna come quelle di Bolan. E i Kiss fecero piazza pulita negli States. Presero qualcosa del suono Glam ed ebbero successo mentre le band inglesi fallirono. Forse Mott the Hoople ebbero un po’ di successo, ma loro erano più “rock”, specialmente all’inizio. Bowie ebbe un po’ più di successo, perché lui aveva un appeal presso i fan dei Velvet Underground. La gente aveva una certa comprensione di ciò che stava facendo da un punto artistico, perché attingeva da tradizioni interessanti, come per esempio Brecht. Era un personaggio più letterario, e penso che la stampa rock aveva maggior interesse in lui rispetto a Bolan, che si limitava a dire: “Sono una superstar, mi dovete seguire attentamente perché sto per conquistare gli States”. A loro questa roba non piaceva affatto.
L’ultimo capitolo del libro è dedicato all’incontro finale tra Bolan e Bowie nel 1977, allo show televisivo “Marc”. Non molti giorni dopo Bolan morì in un incidente stradale. Ma facciamo caso che fosse sopravvissuto: tu pensi che fosse finito da un punto di vista artistico, o avrebbe ancora potuto realizzare qualcosa di brillante? Devo dire che tra il 1974 e il 1977 lui fece delle cose piuttosto ordinarie, specialmente dal vivo. Ma in sala d’incisione, in realtà fu molto più sperimentale e coraggioso di quanto la gente lo consideri. Ma paradossalmente oggi la gente tende a preferirlo in un disco come DANDY IN THE UNDERWORLD, che è un po’ più banalmente pub rock, quando lui si stava accostando (senza troppa convinzione) ai suoni del punk. Ma lui è sempre stato un personaggio interessante. Quindi è difficile dirlo, perché… Alla fine si era messo a fare un programma Tv per ragazzi. Quindi avrebbe potuto con facilità finire a diventare una di quelle celebrità che partecipano a programmi solo perché sono famosi. Oggi potrebbe essere uno dei giudici di “Pop Idol”, per dire. E si divertirebbe tantissimo a farlo, nella sua maniera “camp”. Ma allo stesso tempo lui ha sempre detto che avrebbe voluto fare lo scrittore o il poeta, e a fare il recluso in campagna. Perché c’è questo elemento da considerare in Bolan: ha incarnato con brillantezza il ruolo della pop star (e si è dato la zappa sui piedi eccedendo in arroganza) ma il suo altro lato è il ragazzo della grande città che amava la magia dei boschi, delle montagne, dei ruscelli… C’era questo versante poetico in lui. E credo che invecchiando avrebbe nutrito quest’aspetto e sarebbe diventato una persona molto più spirituale che all’inizio. Ci sono sicuramente dei segnali in questo senso. Lui era un po’ un “seeker”, uno costantemente alla ricerca. Ma non fece abbastanza sforzi in questa direzione, perché la fama e il successo erano ciò che lo motivava. Come si sa, aveva osservato Cochran ed Elvis quando era giovane, aveva visto i loro film… E adorava quelle cose. Era lì che voleva arrivare. Così come anche Bowie. Non penso però che avrebbe seguito una traiettoria musicale “alla Bowie”. Musicalmente, Bowie era un sofisticato, in qualche modo. Per Bolan era tutto legato alla personalità. Mi piace, personalmente, pensare, che si sarebbe dedicato alla scrittura. Perché i suoi testi non hanno certo la stessa considerazione di quelle di Cohen o di Dylan. Ma in termini di pura poesia pop, sono meravigliose! Appena ascolti le liriche di un 45 giri dei T Rex, te le ricordi immediatamente. Erano così memorabili, ed erano la perfezione assoluta come liriche pop. Si può dire; c’è Chuck Berry nei tardi anni 50, e Bolan nei primi anni 70. Ci sono delle immagini fenomenali che ci ha regalato. Quindi, aveva questo talento peculiare e affascinante, ma allo stesso tempo un volgare amore per la fama e per il successo che avrebbe potuto tenerlo nei programmi Tv del pomeriggio. Pertanto, è davvero difficile poter dire che cosa avrebbe fatto [se non fosse morto], ma è stata una grossa perdita per la musica. Tutte le persone che ho intervistato mi hanno detto che persona unica sia stata, Poteva entrare in una stanza e la inondava con questa magia, con un carisma e anche con una gentilezza. E penso che sia per questo che i fan lo amino ancora. Perché se senti THE SLIDER, non può non toccare il tuo cuore con quelle canzoni. Lui è in grado di fare queste cose. Una canzone come Cosmic Dancer – solo Bolan la poteva scrivere – ed è di una bellezza purissima. Bowie non avrebbe potuto scriverla. E’ fuoriuscita da un luogo speciale, lui possedeva un’innocenza interiore che gli consentiva di tirar fuori queste cose. Una sorta di bellezza naif, e di verità naif in qualche modo. E’ molto grezza, ed è bellissima.
Articolo del
17/01/2023 -
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