Un progetto interessante dentro cui la parola diviene solo corpo narrante e mai (o quasi mai) veicolo di melodia. Insomma un moderno spoken words dai caratteri assai urbani e distopici a cui avremmo richiesto una dimensione espressiva meno fredda e quotidiana di quello che invece sembra arrivarci. “La chiave di Berenice” è questo nuovo disco del trio Il Silenzio delle Vergini pubblicato da I Dischi del Minollo, label sempre in cerca di sonorità altre rispetto alle consuete forme della scena pop indie italiana. Si respira una tacita introspezione impegnata e impegnativa… non sarà un caso che il disco si apre con il famoso discorso di Martin Luther King, voce che i nostri innestano in un pulviscolo sonoro di distorsioni post apocalittiche.
Partiamo da Berenice… chi è… e che lotta ha dovuto affrontare? Berenice è un pezzo molto particolare, il brano unisce la rabbia, la frustrazione e l’amarezza di una violenza fisica e psichica. Berenice ha un desiderio, vuole emanciparsi, liberarsi dal suo passato ed è essere felice. Per potersi liberare deve lottare, e imparare a capire come la vita può essere stupenda. Per lei non esistono scorciatoie, tutto è molto reale, e vivido nella sua mente. Il brano esprime un continuo gioco di luce e buio, una continua alternanza di colori e di sensazioni, Berenice immagina comunque uno spiraglio, come una sorta di luce alla fine del tunnel.
Perché un suono così introspettivo e privato? Scendiamo agli inferi o cerchiamo la luce? Il silenzio delle Vergini è un progetto nato per parlare di situazioni complesse e intime. La rabbia, la delusione, la gioia, l’amore sono esperienze private, e raramente diventano collettive. Noi crediamo che bisogna parlare in maniera coraggiosa della realtà che ci circonda, avendone la consapevolezza. Luce o inferno? Non penso ci sia una risposta, credo sia molto più semplice parlare di Emozioni e di pathos.
Che sia il frutto di una personale emancipazione? L’emancipazione è personale, ma nello stesso tempo anche collettiva. Dire ad un bullo che si è stufi di essere presi in giro, è un atto di grande coraggio e di rispetto verso se stessi, ma nello stesso tempo una forma di tutela sociale verso chi è diverso.
E poi la maschera che qui assume anche un significato sociale… oltre che individuale… o sbaglio? La maschera che io indosso, che tu indossi e che tutti indossano è la protezione che noi utilizziamo tutti i giorni per poter sopravvivere. Diventando degli attori, capaci di fingere e di simulare siamo in grado di dissimulare il nostro profondo odio per il marcio che noi osserviamo nel mondo. La maggior parte di noi, deve sopportare un lavoro insignificante, il pregiudizio e l’indifferenza. Il sorriso falso che noi mostriamo ogni giorno, non è una maschera?
E questo disco, alla fine della fiera, le maschere le distrugge o le giustifica? Questo è un disco più arioso, più allegro, un disco che vuole mostrare una luce in fondo al tunnel. Le maschere sono solo una metafora, basterebbe prendere in mano il proprio destino, mollando le zavorre mentali che abbiamo e volare via.
Articolo del
19/01/2023 -
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