Un disco come “Tossica anímica” è certamente un lavoro che non cerca compromessi, mediazioni… per quanto spesso, dove richiesta, la forma del pop è ben presente e rispettata. Ma i suoni di Altrove, il moniker questo della cantante e cantautrice genovese nata da madre italiana e padre Sud sudanese, sono come la forma che spesso mette in campo: qualcosa di estremamente personale e capace di voltare le spalle ai sentieri battuti da tutti. La recitazione, la poesia, lo spoken word ma anche il glam e il gusto per la melodia affascinante come nella title track. E poi i colori…
Non so se amare più “Ai Margini” o “Ninna nanna”: in entrambe mi sono riportato a casa una dimensione magica di antiche storie popolari... non so come dirlo diversamente... tu cosa mi dici? Dico che è bellissimo che le abbia suscitato questo e sono davvero felice ed emozionata che abbia menzionato questi due brani per primi, a cui tengo tantissimo e che sono frutto di un vero e proprio stream of consciousness. Ciò che mi sta entusiasmando più di tutto dall'uscita del primo singolo in poi è quanto, di più di me, chi ascolta sente dentro questo lavoro. Quando mi chiedono che genere faccio io non so rispondere, perché so che non è un genere univoco, ma meticcio almeno quanto lo sono io. Ma il pubblico sta rispondendo magistralmente al posto mio, vedendoci ognuno qualcosa di diverso: io penso che l'arte serva anche a questo: è negli occhi di chi guarda, nelle orecchie di chi ascolta e apporta sensazioni a seconda delle attitudini e dei bisogni di chi fruisce. Trasforma chi la fa mentre la fa e poi, trasforma il fruitore mentre la riceve. E lo trovo uno scambio in differita davvero magico.
Perché scrivere una canzone come “Ai Margini”? Esiste ancora la discriminazione a quanto pare… “Ai Margini” più che di discriminazione, parla di solitudine e indifferenza... che poi è anche il risultato di molte forme di discriminazione… la solitudine in cui sono lasciati gli esseri umani a volte, è uno dei pensieri che mi causa più dolore: gli anziani, i malati, persone finite per strada senza un tetto chissà per quali vicissitudini, madri che crescono i figli da sole, bambini abbandonati a loro stessi... ogni forma di abbandono è un atto di crudeltà, perché volenti o nolenti gli esseri umani vivono nella relazione e nel bisogno di amore. Ma Ai Margini parla anche delle possibilità che possono nascere da queste condizioni, delle risorse creative e della genialità che spesso si trova in luoghi non visibili, non riconosciuti, in anfratti, interstizi e crepe... “There is a crack, a crack in everything / That's how the light gets in” scriveva Leonard Cohen in Anthem.
E la dolcezza di “Miele” in realtà custodisce qualcosa di molto più amaro... cos’è davvero dolce? Un dolce che intossica? Questo come sappiamo è il destino di molte relazioni, se non si hanno gli strumenti per atti di consapevolezza, non sempre facili e non sempre immediati. Cosa sono in fondo tutti i delitti famigliari che avvengono in Italia e nel mondo? Cos'è quello che chiamiamo femminicidio se non un delitto nel nome dell'amore? Usiamo troppo la parola amore quando amore spesso non è: ci troviamo in relazioni dove l’amore è possesso, privazione, necessità, pretese... e non quell'accompagnarsi uno accanto all'altro, quella comunione... Miele non parla di violenza fisica e inoltre affronta la tematica con una certa ironia che potrebbe confondere, ma il sotto testo è l'abuso, la violenza psicologica, che spesso si consuma in silenzio, senza testimoni, dentro alle relazioni e che nella nostra patriarcale nazione riguarda molto la repressione della donna e del suo talento, che avviene molto sul lavoro ma spesso è frutto di un progressivo sgretolamento dell'autostima a partire dalle mura domestiche.
E quanto pensi sia sociale questo disco? Parecchio. O almeno mi piace pensare che lo sia. Non ho iniziato a fare questo mestiere molti anni fa (l'artista) per velleità e non era programmato. Ho iniziato per salvarmi la vita, e forse è questo che mi ha portata in maniera naturale ad affrontare sempre tematiche sociali. Credo nell'arte come terapia, ma non solo individuale, una terapia collettiva che può curare nazioni e popoli.
Parlando di produzione: il modo è assai americano, c’è tanto blues, c’è tanto jazz, c’è un gusto decisamente world... che origine ha tutto questo lavoro? Beh, sì ci hai preso in pieno! Ma anche qui l'ho scoperto dopo, di aver messo tutte quelle passioni dentro alla mia musica. Sono cresciuta con Tracy Chapman nelle orecchie, a 18 anni in un viaggio negli Stati Uniti ho scoperto Ani Di Franco... e poi Pj Harvey, Tori Amos, Leonard Cohen... amavo il cantautorato rivoluzionario anglossassone e statunitense. Il blues e il jazz a questo punto credo di averli dentro la mia radice africana, perché è qualcosa che hanno iniziato a dirmi molti musicisti con cui collaboravo e devo dire mi è piaciuto, per cui ho deciso di non lasciarli più solo uscire in maniera naturale ma di iniziare ad esplorarli... e ovviamente sono solo all'inizio della ricerca. La world è la parte primigenia del mio percorso artistico. Migrata a Londra dopo il liceo, per fuggire da un'Italia che sentivo estranea, ho scoperto l'Italia nella metropoli inglese, soprattutto l'Italia del sud, parte delle mie origini tra l'altro, e da lì ho iniziato la mia febbrile ricerca nella danza e nella musica del nostro sud. Tornata in Italia ho iniziato ad esplorare l'altra parte, quella africana...e ad unire punti.
E poi i colori: questo disco ha tanti colori sulla propria pelle. Anche il video della title track: si parla di individuo e non di etnia... sono messaggi importanti... cosa ne pensi? Grazie! Di aver visto questo. È proprio così! Si parla di individuo, non di etnia o di genere o di tutto quello in cui cercano di classificarci. Ho la presunzione di pensare di rivolgermi a tante unita isolate e sparse, che se fossero luci accese, tutte insieme abbaglierebbero il mondo e mostrerebbero un intero popolo. Non mi rivolgo a gruppi, pseudo categorie identitarie, a movimenti, che tentano di abbattere cliché generandone altri, aggiungendo sempre nuove bandiere ad una terra picchettata fino al sanguinamento. Essere esclusi dai bianchi o essere esclusi dai neri, dai trans o dalla tua famiglia; dai gay, dagli etero, dagli africani dagli italiani dai lombardi dai calabresi, essere emarginati dalle donne o dagli uomini, dalle femministe o dai maschilisti, essere additati dai malati perché sani o dai sani perché malati... essere additati! perché non conformi, perché non confermi granitiche credenze, perché fuori luogo, tentatori di qualcosa di altro possibile, perché probabilisti, aperti, desiderosi di umanità a prescindere, non ha un antagonista preferenziale; non glie ne frega niente a chi appartenga quel dito. È ciò che rimane alla base che uccide; è ciò che rimane alla base, deprivato del mentalismo, della circostanza, dell'istanza e della moltitudine o individualità coinvolta; ciò che rimane. Io cerco quella rimanenza, quel distillato di paura, fragilità, gioia infinita, sogni impossibili e sorrisi sinceri, che ancora non ha un nome, ma è già un popolo, che non ha un luogo definito, che è già una nazione, astratta e senza confini, è già un meccanismo di autogestione, un lavoro in corso e che si incammina verso altrove.
Articolo del
31/01/2023 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|