Nata a Roma, M. Deborah Farina è regista, autrice, sceneggiatrice, studiosa e storica del cinema. Di lei si potrebbe dire che è una vera ‘mogul’ dello showbiz. Nella sua vita tanto cinema ma anche musica.
Ha ideato e diretto gli incontri “Venezia Pulp” alla Mostra del Cinema di Venezia ed il festival “Le Giornate del Cinema di Genere”, attualmente alla quinta edizione e ha vinto numerosi premi nelle più importanti rassegne culturali.
L’abbiamo incontrata per farci raccontare le sue avventure di set e di quelle letterarie.
Deborah, tu sei una Wonder Woman del mondo dello spettacolo. Quando ti è arrivata la scintilla per capire che la tua vita sarebbe stata completamente dedita alla musica, al cinema e al teatro? Credo di non aver mai avuto in mente niente altro che questo. Penso sia un fatto innato della mia anima creativa, che ha preso la forma attuale man mano da quando sono nata. In sintesi il mio mondo d'arte coincide con la mia esistenza umana, è il fondamentale e necessario flusso di energia che segue il mio percorso di vita. Ho iniziato a costruire palcoscenici a circa quattro anni (il baule di casa), trascinando sedioline per creare una platea e indossando abiti e scarpe di mia madre. A sei anni ho iniziato a scrivere poesie, divenute il fiore all'occhiello della mia scuola elementare e a studiare danza classica. A otto anni ho iniziato a scrivere spettacoli, ispirandomi ai varietà seriali che mi era permesso vedere in tv, facendo dello stesso show una prima edizione, una seconda e una terza. In queste esibizioni casalinghe ho creato una band musicale - con musica suonata a voce - composta da me, mia sorella, la mia migliore amica e un pastore tedesco. Ispirandomi al mondo dei cartoni animati, ho ricreato sit-com con il cane Olz nel ruolo di ispettore, sulla falsariga di Scooby-Doo e diversi ruoli di streghette, cantanti rock, animali, per noi tre. A circa 10 anni ho scritto il mio primo soggetto e sceneggiatura cinematografica: "Revenge", titolo inglese senza conoscere la lingua. "Revenge" riletto oggi, sembra la versione infantile e ingenua di "The Rocky Horror Picture Show", con incursioni nel genere italiano “thriller degli anni Settanta” e un po’ di pulp alla Tarantino. Argomenti, in quel tempo, a me totalmente sconosciuti. Da allora, tra studio di recitazione, oltre che danza, invenzione di personaggi e storie e musica, tra approfondimenti storici e creazioni, sono sempre Alice in Wonderland.
Sei diventata anche scrittrice negli ultimi tempi con un ottimo successo di critica e pubblico. Com’è nata l’idea di fare un libro-spettacolo dedicato agli Osanna? E soprattutto da quanto tempo sei innamorata del progressive rock? In realtà io nasco come scrittrice e saggista. Scrivo da sempre, ma ho iniziato a pubblicare libri dal 2001. Ho all'attivo svariati testi di storia del cinema ("Filmmakers. Le storie del cinema indipendente", "Dizionario del cinema indipendente", "Rockumentary &Conet film. Manuale del cinema rock", "Eros is sick. Il cinema di Michelangelo Antonioni", tra gli altri), per lo più sviluppati intorno alla materia di cui sono studiosa, il cinema indipendente americano da New America Cinema e le sue derive New Wave alla New Hollywood. Ho approfondito in particolare il documentarismo legato alla Drew Associates di Robert Drew, dove ha militato il mio maestro Albert Maysles accanto al fratello David, D.A. Pennebaker, Richard Leacock e i filmmakers del Group, attorno alla fondamentale figura di Jonas Mekas. Ma anche la Corman Factory e il cinema sperimentale della west coast. Si tratta di testi adottati in università ed enti accademici, a cui ho affiancato la pubblicazione di raccolte poetiche e racconti. Non a caso sono sempre io l'autrice del soggetto e della sceneggiatura dei miei film! Scrivere anche il libro di "Osannaples", ha significato da una parte continuare a vivere il film, dall'altra voler far immergere il lettore dentro il film, a livello letterario e poetico, portando alla luce il mio immaginario e la concezione/concepimento del soggetto e dei suoi personaggi. Su "Osannaples", ad esempio, ho creato i personaggi dei sacerdoti traghettatori del tempo, vestiti con sai colorati interpretati dagli Osanna stessi, ho cercato introspezioni nei mondi paralleli dell'inconscio caratterizzati dai momenti della grotta, ho fatto muovere le emozioni sotto forma di percorsi onirici. "Osannaples", in questo senso, è una vera e propria opera letteraria; ho sentito quindi la necessità di far vivere il suo spirito rock visionario e psichedelico anche in un libro. Per quanto invece riguarda il progressive-rock, la fascinazione è nata molto tempo fa, accanto alla mia primordiale passione per l'hard rock di matrice anglosassone degli anni Settanta; il primo approccio è stato con Van Der Graaf Generator, King Crimson, Yes ma soprattutto con i Jethro Tull che ho inserito nella colonna sonora del mio primo film "Paranoyd", accanto a "Cemento armato" delle Orme. Ho ascoltato molto anche gli Area, tuttavia l'attrazione musicalmente fatale è stata per il sound degli Osanna. Da cinema-goers e appassionatissima del cinema di genere, ho scoperto la band attraverso la colonna sonora di "Milano calibro 9", noir cult di Fernando Di Leo del 1972 (di cui sarei divenuta tra le maggiori studiose con due docu-film dedicati: "Down by Di Leo" e "Milano calibro 9: le ore del destino" presentato al 40° Torino Film Festival); pensavo che si trattasse di una band inglese, date le sonorità battenti tra hard rock tra Led Zeppelin, Hendrix e psichedelia; solo più tardi ho scoperto che invece si trattava di cinque ragazzi di Napoli! In quel tempo, non sapevo che molti anni più tardi avrei fatto un rockumentary su di loro, avrei scritto la nuova parte teatrale di "Palepoli" e curato la regia (la cui world premiere è stata fatta lo scorso 12 aprile al Teatro Trianon Viviani di Napoli) e sarei diventata la 'regista' della band! Ho scoperto che i sogni possono diventare realtà.
Hai lavorato con grandi nomi dello spettacolo, italiano ed internazionale. La tua è stata anche una formazione indie, molto statunitense. Chi è l’artista che ti ha ispirata di più? Tra i miei riferimenti cinematografici, accanto ai già citati filmmakers della Drew Associates e i fratelli Maysles, fondatori del Direct Cinema americano (autori di cult del genere come "Gimme shelter" sull'epocale concerto dei Rolling Stones ad Altamont o "What's heppening! The Beatles in the Usa", sulla prima tournee americana della band inglese), che hanno caratterizzato il mio approccio alla registrazione della realtà e alla restituzione di un certo tipo di immaginario cinematografico, c'è certamente Jim Jarmush con il suo cinema “punk” di "Permanent vacation" e "Stranger than Paradise", ma anche Cassavetes di "Faces" o Brian De Palma di "Greetings". La lista sarebbe lunghissima, anche con nomi oggi entrati a far parte dello star system, ma nati e cresciuti fuori da Hollywood. Tuttavia, cito su tutti la grande cineasta e filmmaker Maya Deren, pioniera del cinema sperimentale dagli anni Quaranta agli inizi dei Sessanta, alla quale continuo ad ispirarmi per la profondità e libertà delle scelte stilistiche, con la creazione di mondi sospesi e abissi del senso, montaggi non convenzionali (sono io la montatrice dei miei film e per me il montaggio è una parte fondamentale della creazione registica), atmosfere noir di sperimentazione come in "Meshes in the afternoon".
Sei una artista che esprime da sempre il suo girl- power. Fa bene sentirsi in buona compagnia Mai trovato difficoltà con le donne nel tuo lavoro? E se sì, perché? Si, esprimo il mio girl power credo all'ennesima potenza. Mi occupo di tutti gli aspetti dei miei film, per esempio, e sono molto rigida sulle scelte. Essendo regista e autrice, sul set rappresento la punta della piramide, non per merito ma per la necessaria gerarchia attraverso la quale far funzionare tutti i reparti, altrimenti, in un clima di anarchia, non si porterebbe a casa il risultato. Ho a che fare soprattutto con universi maschili, che accettano il mio ruolo per un fatto essenziale. Io non faccio distinzione tra uomini e donne, per me esistono i professionisti. In questo senso mi trovo bene con chiunque sappia fare il proprio lavoro e sia intuitivo e capace. Quindi non ho mai avuto problemi con le donne e vorrei averne sempre di più vicine, per poter affidar loro ruoli importanti di supporto. Hai ricevuto tantissimi premi nella tua carriera, e sei ancora tanto giovane. C’è un premio a cui ambisci in qualità di regista o autrice? Si, ma ho cominciato presto! Vincere dei premi è una cosa, devo ammettere, bellissima perché l'approvazione del pubblico e/o della critica ripaga dall'enorme fatica e dai sacrifici che si mettono in campo quando si porta un'opera ad essere realizzata. Mi piacerebbe avere ancora riconoscimenti, e ogni premio è sempre una gioia. Mi piacerebbe vincere un festival importante, forse perchè i festival fanno parte del mio immaginario di cinephile. Tuttavia, il premio sottende al fatto di presentare un prodotto eccellente, ed è questo l'aspetto fondamentale e più importante. La mia felicità è vedere l'opera compiuta, sapere che ha una sua vita e può iniziare a viaggiare. Il giorno dopo la sua realizzazione, il pensiero è già su altri lidi, verso nuove prospettive e orizzonti.
Hollywood ti attira o ti mette paura? Mi attira certamente. Ho vissuto a Los Angeles per un periodo, proprio per avere un iniziale approccio “sul campo” verso lo show biz cinematografico. Mi sono accorta che l'idea dell'opera artistica, come concepita qui in Europa, negli Stati Uniti non esiste. La struttura dei grandi studios è totalmente industriale, come per la fiction televisiva, il che prevede un asset lavorativo standardizzato che lascia poco spazio agli impulsi creativi. Esistono in realtà tante Hollywood, quella della collina e quella più indie della San Fernando Valley, quella di North Hollywood fatta di piccole troupe in strada, di incontri a bordo delle piccole piscine condominiali, quella impenetrabile delle ville di Bel Air, quella 'naive' dei negozi sulle cui vetrine è scritto “film production”. Tutte sotto il segno dell'exploitation.
A parte gli Osanna quali sono state le tue prime influenze musicali? Come detto prima la mia matrice musicale è legata al rock anglosassone e americano degli anni Settanta, amo i Deep Purple in tutte le formazioni (particolarmente la line up di "Burn" e "Come taste the band", con David Coverdale e Glenn Hughes), i Led Zeppelin (aprivo la mia rassegna "Rockumentary" con "Immigrant song"), i Pink Floyd di Syd Barrett, ma anche i Beatles psichedelici, i Jefferson Airplane, i Free, Frank Zappa, gli Who di "Tommy". Accanto a questi, ho un'anima nera funk legata ai gruppi della Motown e Soul train (da Stevie Wonder a Super Fly a Isaac Hayes); e poi, tra le mie hits, Carole King e Joni Mitchell, grandissime autrici e interpreti di brani universali come "Natural Woman" o "Yellow taxi".
Bob Dylan o Tom Waits ? Difficile! Stando alla mia passione per Jarmush e la new wave cinematografica newyorkese vi aspettate Tom Waits… e invece no, Bob Dylan. Bob Dylan perchè ha scritto uno dei miei album della vita "Blood on the tracks", Bob Dylan perchè non finisce mai di emozionarmi intonando "Forever young" con The Band in "The last waltz" di Martin Scorsese, Bob Dylan perchè è la prima rockstar protagonista di un ritratto di cinema diretto per D.A. Pennebaker in "Don't look back", dopo essere stato filmato al Newport Folk Festival (poi in "Festival" di Murray Lerner). Cosa ci riservi per il futuro? Sto girando un nuovo film-documentario sul cinema di Sergio Martino; spero di continuare a realizzare opere cinematografiche perchè, nel mio eclettismo, il cinema mi da modo di poter esprimere ogni angolazione artistica (dalla scrittura alla messinscena, dalla ricerca storica alla composizione di immagini e visioni). Sul fronte letterario puro, la prossima pubblicazione sarà una nuova raccolta poetica. Dulcis in fundo, ultima cosa che mi sono lasciata come coup de theatre, prima della laurea in Lettere, ho fatto studi artistici e architettonici e ho da sempre realizzato disegni e opere pittoriche; solo da quest'anno però ho deciso di uscire allo scoperto, partecipando a mostre collettive con la serie dei miei quadri "Fotogrammi" (i fotogrammi rielaborate dei miei film). Sto preparando una mostra personale con delle vere e proprie installazioni artistiche... ma su questo di più non posso rivelare!
Articolo del
11/06/2024 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|