Francesco, la tua prima opera letteraria dopo anni di giornalismo e come libraio. Perché proprio KC? Kurt Cobain ha rappresentato per me e quelli come me nati alla fine degli anni ‘80 l’ennesima scia di lucente grandezza che abbiamo solo potuto sfiorare, senza mai essere parte della scena. Kurt come Elvis, Marley, Johnny Cash, i Beatles, gli Who, i Clash e i Pink Floyd. L’ultima “rockstar”, definizione che lui non avrebbe di certo gradito appieno, a reinventare la musica, rimescolarne le carte, intersecandola con l’arte la moda e la letteratura, creando semplicemente con il suo essere uno stile definito, il grunge, che ha poi ispirato trent’anni di tendenze a venire, ed ergendosi senza volerlo a iconico traghettatore tra un “vecchio” e un “nuovo”. Ma anche un Kurt “metafisico”, quello che nelle pagine del mio romanzo accosto a Gesù stesso, “con le stigmate sui polsi e i buchi delle siringhe sulle braccia, il laccio emostatico adagiato sulle vesti di Courtney, come la Maddalena”. Esiste un pre e un post Cobain. Il suo ultimo passaggio a Roma, nel tour di “In Utero”, al “Palaghiaccio” di Marino, il 22 febbraio del 1994, è il principio storico di un viaggio a cavallo tra onirismo e realtà che “Interferenza Cobain” sviluppa.
Questo libro (tra l’altro opera prima molto intensa e ben scritta) è un viaggio in quegli anni tra la fine di un decennio ridondante, giocoso, colorato ovvero gli ‘80 e l’inizio dei ‘90. Eri un ragazzo arrabbiato nel senso più nobile del termine, ed anche tormentato? In fondo Kurt è Davide? Come accennato, nel 1994 avevo solo sette anni, e quel concerto si svolse non lontano da casa. La Roma di cui parlo è quella dei ricordi di bambino, delle storie raccontatemi dai genitori e dai nonni, delle sfumature che iniziavo a assaporare tra i palazzi e il campetto della parrocchia di quartiere. Essere un bambino negli anni ’90 è stato stimolante, nonostante l’assenza dell’informazione web la sottocultura aveva i suoi modi di correre, la mescolanza dei generi musicali, le prime sneaker ai piedi, “Nevermind” nel walkman e nuovi suoni in evoluzione, registrati su magici nastri di cassette che riempivano gli zaini di scuola, incollate alla plastica dei plum cake schiacciati. Tutto questo ha sicuramente contribuito a generare nel me adolescente quella sensibilità artistica e spirito critico che poi si sono poi manifestati in vari aspetti della mia crescita personale, tra i quali il dolce mal di vivere, e di crescere, che è uno dei tasti toccati nel mio libro. Kurt è Davide, Davide è Kurt, specchio l’uno dell’altro dove poter fare a botte con se stessi senza lasciare morti sul campo di battaglia. Il loro incontro sospeso, l’interferenza che li connette, è salvifico per entrambi, donando un pò di luce inattesa alla storia. Perché la letteratura può essere migliore della vita.
Cosa ti piacerebbe chiedere a Cobain oggi se fosse ancora vivo e avessi la possibilità d’incontrarlo? Il libro stesso gira intorno a una domanda. Quella che si sono fatti tutti, “cosa mancava a Kurt per essere felice?”, ma più specificamente, nel mio romanzo, “come ha fatto a non bastarti il suo sguardo amorevole, per lottare ancora un pò?”, quello di Frances, sua figlia, di appena due anni quando avvenne la tragedia. Quello stesso amore che nel mio caso di padre, in età molto giovane, è stato sufficiente a resistere e ad oltrepassare quasi indenne le mie tempeste di vita. Nella narrazione mi sono poi divertito e tolto qualche piccola soddisfazione, sghignazzando dietro i piccoli battibecchi e confronti tra i due ragazzi in copertina, vaganti per le strade grigie della mia città. Invito i lettori a scoprirli tra le pagine!
Questo libro è stato terapeutico? Si, questo libro mi ha permesso di districare qualche nodo, a cominciare dal fatto stesso di scrivere finalmente un romanzo in età si giovane ma nemmeno più tanto (lol), dovuto forse all’essere cresciuto tra gli scaffali di una libreria e aver consumato avidamente davvero molta letteratura, sviluppando una sorta di timore reverenziale verso i grandi e conseguente blocco totale. Credo che tutto ciò emerga nel mio romanzo, nella forma e nei richiami, nella struttura classica e nella trasversalità dei contenuti. Il dono più grande l’ho fatto a me stesso e a mia figlia, perché a contrasto e integrazione con un’altra storia così intensa (Kurt e Frances), mi è sembrato di aver fermato quel tempo così intenso dell’esperienza di vita paterna.
Dove sta andando oggi l’arte secondo te? L’arte sta diventando sempre più ibrida e contaminata. La fusione tra diversi linguaggi sembra essere la direzione naturale. L’arte del futuro sarà sempre più un’esperienza multisensoriale, diffusa tramite e “in” le varie forme di media. La mia speranza è che mai si arrivi a un’arte elitaria, autoreferenziale, inutile e fine a se stessa. L’arte dovrebbe essere veicolo di comunione tra classi e diversità, non guscio delle varie forme di individualità. Dovrebbe essere toccata, utile, continuamente rielaborata, fornendo chiavi di lettura del presente e nuove possibilità di futuro, promuovendo il benessere collettivo.
Hai altri libri in programma? Ho due storie che mi piacerebbe raccontare, una più sulle mie corde, in una sorta di comfort zone, l’altra un progetto più impegnativo, impattante sulla mia persona, ma al tempo stesso stimolante. Serve tempo e un certo stato mentale per scrivere qualcosa del genere. Vedremo, magari vincerà una terza storia che ancora non ho visto!
Articolo del
12/03/2025 -
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