|
Torniamo dentro le trame della Sghetto Records e dunque sappiamo già di doverci attendere un suono che fa il verso alle trame losangeline, unendo stilemi trp, rap, hip hop e quel leggerissimo velo di lounge morbido a non rivoluzionare troppo la complessità di una contemplazione. E di contemplazione “Daimon” ne è pieno visto che posso raffigurarmelo come una fotografia di rendiconti a firma di Giulio Campaniello ovvero Subconscio. L’infanzia come ponte che traghetta ad un oggi che ad ora non è il centro da cui partire piuttosto, forse domani, il centro a cui far convergere la propria emancipazione. Subconscio fa i conti con le paghe del suo passato, sin dalla prima traccia “Madre Terra”… tante le feat. da sfogliare dentro questi brani. Quella con Calver Gold è solo una delle tante…
Tante festa. dentro questo lavoro. Una crew degna di nota... la collaborazione, prima di ragioni artistiche, sembra avere ragioni culturali. È un modo di pensare alla musica, vero? Assolutamente sì. “Daimon” è nato come un lavoro collettivo, quasi comunitario. Prima ancora del “suono” c’era un bisogno di ritrovare un modo di stare insieme, di pensare alla musica come a un gesto culturale e non solo creativo. La festa, per me, è un rito di appartenenza, ci trovi dentro le persone, le lingue, le storie.
Che rapporto hai con le nuove tecnologie pensanti? E forse direi anche omologanti... ? Le guardo con curiosità ma anche con una certa distanza critica. Le tecnologie “pensanti” possono ampliare l’immaginazione, ma possono anche schiacciarla dentro forme già pronte, algoritmiche. In Daimon c’è tecnologia, ma sempre sporca, contaminata, mai preimpostata.
Crepuscolare. Sembra che la luce entri ma in punta di piedi, piccoli lumi accesi... ha senso chiederti che ruolo ha la luce per questo disco? Ha senso pensare che sia tutto mescolato con la notte? Sì, perché “Daimon” vive proprio in quella zona. Il crepuscolo è l’ora in cui non vedi più tutto chiaramente, ma intuisci di più. È una luce che non espone, ma rivela. La notte, invece, è la materia emotiva, il luogo in cui le cose non hanno ancora forma, ma scalpitano per emergere.
L'immaginario del disco è colmo di simboli: il viaggio, la voce, il doppio, la terra. Hai la sensazione che il tuo "daimon" ti stia ancora conducendo verso una meta precisa? Il mio daimon non mi dà mappe, ma direzioni. Non credo mi stia portando verso una meta fissa, piuttosto mi spinge a camminare. Il viaggio nel disco è una specie di spostamento interiore.
Al suono che tipo di lavoro avete dedicato? Che tipo di responsabilità narrativa avete restituito? Oppure si tratta di un semplice arrendo estetico? Il suono è stato trattato come un personaggio. Non cercavamo bellezza per sé, ma coerenza emotiva e di linguaggio. Ogni scelta, dal timbro di una percussione, all’aria lasciata tra due frasi, doveva raccontare qualcosa. Non volevamo un album chiuso ma spazioso e con tanto calore dentro. Il lavoro sul suono è stato quasi drammaturgico: capire cosa dire, cosa omettere, cosa lasciare respirare.
Articolo del
10/12/2025 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|