Diciamolo subito: “Musica di merda” è un libro che chiunque sia appassionato di musica, di qualsiasi genere di musica, dalla colta al liscio, dovrebbe leggere. Di più: è un libro essenzialissimo – passatemi il neologismo – per chiunque lavori nell’ambito della critica musicale, più che mai messo in discussione nel suo ruolo dalla possibilità per chiunque di ascoltare direttamente il prodotto artistico di cui si parla. È qualcosa che investe le radici stesse dell’attività critica: che senso ha spiegare al lettore che musica è quella di un disco, quando ognuno può farsene un’idea direttamente? Andando ancora oltre: che senso ha magnificare o distruggere una composizione? Sono le domande che si è posto a suo tempo Carl Wilson, critico musicale canadese proveniente dall’ambiente indie e del pop colto. E per trovare una risposta ha deciso di affrontare la Bestia, ovvero il peggio del peggio, secondo la comune vulgata di chi si sente un intenditore di musica: Céline Dion e in particolare il suo album “Let’s Talk About Love”, contenente l’efferata hit “My Heart Will Go On”, dalla colonna sonora del “Titanic” di James Cameron. Uscito nel 2007 per la collana 33 1/3 di Continuum (in cui ogni libro analizza un album), “Musica di merda” fu una bomba. Agendo tanto sul piano del ragionamento quanto su quello della ricerca sul campo, Wilson si scontra con la caduta di tutte le certezze e i pregiudizi sugli ascoltatori tipo di Dion, così immaginati da un anonimo redattore della rivista britannica Independent On Sunday: « Nonnette, gente in abito da sera, bambini sovrappeso, venditori di telefonini e frequentatori di centri commerciali, probabilmente». A voi scoprire chi sono in realtà e quanto variegati siano al contempo gli ascoltatori tipo di Céline Dion (diciamocelo: la Pausini nordamericana): non è questo il punto che interessa approfondire qui. Il punto, sulla scorta delle analisi condotte negli anni ’60 in Francia dal sociologo Pierre Bourdieu, è che il gusto che fa definire “buona” o “cattiva” una musica ha una radice eminentemente sociale. In una società che si definisce democratica definire quindi “musica di merda” quella di Dion significa fare dell’elitarismo. Il che da un lato svela il carattere di falsa democrazia della nostra società, per cui la distinzione sociale ha a che fare con l’elevarsi sopra ciò che viene definito disgustoso, il che è sempre popolare (come fa notare altrove Natalino Balasso, da sempre la prima preoccupazione degli arricchiti è far dimenticare i propri stivali sporchi di letame). Ma dall’altro non può che far orrore a chi autenticamente democratico si sente. L’accusa, fondata, di elitarismo nei confronti di chi giudica “di merda” la musica di Dion e simili porta però a due conseguenze fondamentali. La prima riguarda, come accennavo sopra, il ruolo della critica nel mondo d’oggi: se stroncare significa fare dell’elitarismo e quindi non ha senso (come dicevano i romani, “de gustibus non disputandum esse”), l’attività del critico ritrova un senso nello spiegare e decodificare intenti e riferimenti culturali, alti, medi o bassi che siano, delle composizioni analizzate. Insomma, quello che l’artista cerca di dire e il modo (nascosto ai più) in cui cerca di dirlo. Il che implica una preparazione non solo estetica ma anche tecnica. La seconda conseguenza proviene dalla prima: spiegare una composizione non significa però avallare qualsiasi porcata. Come si nota a più riprese nel saggio di Wilson, tanto nella parte originale quanto nei cospicui contributi esterni aggiunti alla riedizione americana del testo, una delle caratteristiche primarie dell’elitarismo di oggi è proprio lo sfoggiare divertiti elementi della cultura più trash possibile, accostandoli però a riferimenti estremamente colti. La stessa parodia, così diffusa, non è altro che un mezzo per permettersi di ascoltare ciò che razionalmente si disprezza, ma emotivamente si apprezza. La difficoltà, allora, è trovare parametri di giudizio che prescindano dalla distinzione sociale ed è un campo di ricerca apertissimo. Molto più ricco di spunti e molto più divertente e spassoso di questa recensione, “Musica di merda” è – semplicemente – un libro d’oro. Compratelo e regalatelo, ché siete sempre in tempo.
Articolo del
23/12/2014 -
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