Mai titolo fu più antitetico al contenuto del libro. E d’altronde, Nuzzolo, scrittore mestrino attivo dal 2005, anno dell’esordio letterario con il romanzo “L’ultimo disco dei Cure”, non ha mai scritto storie felici. “La Felicità è Facile” non fa eccezione, ma conferma la regola, ripresentando alcune costanti della narrativa dell’autore veneto: oltre a un senso di disperazione ontologico, il dialogo costante con la musica rock (che offre spunti continui a partire dal titolo, tratto da una canzone dei Talk Talk), l’amore per lo scrittore e filosofo esistenzialista francese Albert Camus, l’ambientazione mestrina, una città che, distrutta dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale e ridotta a periferia di Venezia, nonostante ci siano cinque chilometri tra i confini dei due centri urbani, ha il discutibile privilegio di incarnare l’essenza delle periferie urbane degradate e di ergersi a simbolo della vita nella società post-industriale. Il volume è costituito da diciannove racconti, la misura letteraria che personalmente preferisco e che, stranamente, un popolo di illetterati come quello italiano aborre, preferendogli il più corposo romanzo. Il racconto invece è più agile, fulmineo, sintetico e riesce a raccogliere in poche pagine uno spicchio di mondo che nella sua apparente parzialità si rivela spesso essere paradigmatico: e qui il paradigma è l’assenza crudele di felicità nelle vite dei protagonisti. I quali, a dirla tutta, sono tutti alter ego dello stesso Nuzzolo e versioni possibili di se stesso. In qualche caso, come in “Siamo tutti uguali davanti a dio (basta pagare il canone)” o “Mio nonno aveva un vocoder”, viene da ipotizzare (ma solo ipotizzare, visto che almeno io non conosco la biografia privata di Nuzzolo), che ci sia molto della sua vita vera in questi racconti. Certo, si tratta di spunti più o meno ampi, su cui l’autore poi lavora di fantasia. In un caso, “Jurassic Punk”, Nuzzolo poi si diverte chiaramente a immaginare un se stesso piccolo al giorno d’oggi, che si ritrova in quel di Carpenedo, paesino alla periferia di Mestre e già campagna, ad accompagnare uno Steven Spielberg che sceglie la microlocalità veneta per girare il seguito di “E.T.” e si scontra con i problemi della mentalità da Strapaese e con l’intolleranza xenofoba. Mi pare chiaro, a questo punto, come la scrittura di Nuzzolo si muova tra realtà biografica e oggettivo dato sociale da un lato e deriva surreale dall’altro, secondo uno stilema tipico di certa letteratura tanto cannibale quanto cyberpunk degli ’90 che è nel Dna di Nuzzolo. Non a caso Nuzzolo rientra nel gruppo degli autori scoperti da Giulio Mozzi, che per breve tempo fu – impropriamente – accostato proprio ai cannibali e che viene citato in apertura di “Ma e pa sdraiati sepolti morti”, forse il racconto più ‘cannibale’ della raccolta. Allo stesso modo, “Oltre ogni ragionevole dubbio” è una fantasia tipica degli anni ’90: lo scrittore fantasma dei discorsi di un politico potente viene arruolato per ucciderlo. È un mondo cupo e privo di luce, quello che emerge nei racconti di Nuzzolo: e non c’è affatto traccia dell’ironia e del caustico humour “promessi” dal comunicato stampa. Semmai c’è l’amaro e feroce sarcasmo di chi non ha più nessuna speranza e vede un mondo abbandonato da Dio. Non a caso, l’ultimo racconto, quello che dà il titolo alla raccolta, è costituito, un po’ alla maniera dei “Calligrammi” di Apollinaire, da un insieme di formule chimiche che ruotano intorno a un triangolo che inscrive in sé un occhio, trasparente immagine divina. Dato che le formule sono tutte di antidepressivi legali e illegali, il messaggio è chiaro: l’unico modo di essere felici e di raggiungere Dio è quindi stordirsi e annullare, o perlomeno attutire, le percezioni del mondo esterno. Radicale pessimismo.
Articolo del
18/05/2015 -
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