“Beat, Prog, Psichedelia e altro nei Paesi del blocco comunista 1963-1978” recita il chiarificatore sottotitolo di questo aureo tomo prodotto con imponente ricerca, frutto della passione di una vita, da Alessandro Pomponi, storico collaboratore di “Raro” prima e “Raropiù” poi. Aureo tomo, dicevo: e davvero così è, perché, a dispetto del pregiudizio che porta a ritenere i Paesi dell’Est del tutto tetragoni all’influenza rock e di conseguenza incapaci di produrne di livello che sia appena sopra al ridicolo, lo studio di Pomponi è foriero di luminose scoperte che rimettono in discussione antiche (e infondate certezze).
Già arrivati a pagina 48, basta un ascolto on line alla produzione dei cecoslovacchi Matador per far crollare ogni sicumera sull’eccellenza del beat italiano: Malej zvon, co mám, anno domini 1966, esibisce una chitarra fuzz impensabile nella produzione coeva nostrana. L’Ungheria regala grandi band come gli Omega, la cui Gyöngyhajú Lány, più tardi coverizzata dagli Scorpions, si rivela uno dei grandi brani dell’era hippie, senza discussioni. In epoca progressive, impressionanti i lavori di formazioni come i cecoslovacchi Collegium Musicum e Dežo Ursiny (cosa non è l’album 'Provisorium' del 1973!), i polacchi SBB, i romeni Sfinx.
Potrei fare uno sterile elenco delle grandi scoperte che l’ottimo volume di Pomponi offre: sterminate praterie su cui gli appassionati di classic rock possono trovare non gemme isolate e dimenticate, ma intere miniere abbandonate e straordinariamente feconde, una nuova età dell’oro in cui galoppare a perdifiato, rapiti da tanta impensata bellezza. Ma preferisco lasciare ai lettori l’ebbrezza di scoperte vertiginose. In questa sede, mi concentrerei di più su alcuni aspetti interessanti del libro. Innanzitutto, è bene chiarire che il gusto di Pomponi predilige – del tutto legittimamente – la componente più legata alle tradizioni autoctone: ecco che quindi nel capitolo dedicato all’Ungheria esalta la produzione degli Illés, in virtù dei forti legami con il folklore di quel Paese, che invece io non riesco a digerire perché non ho mai amato il folk magiaro (alla domanda “Le piace Brahms?”, insomma, io rispondo invariabilmente di no, perché quello che ho sempre sentito del grande compositore vede presentissima la componente folklorica). Ovviamente né io né Pomponi abbiamo qualcosa di sbagliato: i gusti sono gusti; solo, tenete presente questa indicazione per tarare le vostre ricerche on line, leggendo 'Rock oltre cortina'.
Secondo aspetto, alcune interessanti considerazioni socio-politiche. Innanzitutto, i Paesi del Patto di Varsavia (Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Romania, Bulgaria, Germania orientale) non erano un tutt’uno: l’Ungheria, avendo subito una feroce repressione nel 1956, negli anni ’60 godeva sul piano dei costumi già di una libertà a volte perfino maggiore di quella concessa da noi ai capelloni nostrani; la Cecoslovacchia nello stesso periodo era in pieno fermento, culminato poi nella Primavera di Praga, seguito poi da una certa repressione negli anni ’70; la Polonia ha saputo mantenersi abbastanza liberale fino agli anni ’80; cupo il destino del rock romeno, schiacciato dalle velleità coreaneggianti del dittatore Ceasescu; quasi inesistente il rock tedesco orientale e bulgaro, pur con lodevoli eccezioni, vittima di dittature ossessive.
Su questo sfondo si snodano storie incredibili: a volte di inspiegabili censure, altre volte di fughe rocambolesche all’estero, altre ancora di tentativi di sfondare sul mercato occidentale tutto sommato favoriti dalle autorità, purché non si mettessero in discussione le lodi del socialismo reale. E stupisce sapere che diversi gruppi ungheresi (come i già citati Omega) hanno goduto di un seguito non indifferente in Germania Ovest, certo; ma chi si ricorda del polacco Czesław Niemen, della sua calata in Italia, dei 45 giri incisi qui (doveva partecipare al Festival di Sanremo del 1970 cantando La prima cosa bella in abbinamento con Nicola di Bari, aveva già inciso il pezzo, che uscì nelle compilation CGD, ma poi inspiegabilmente si ritirò lasciando il posto ai Ricchi e Poveri) e del suo ritorno in patria portandosi appresso la cantante siciliana Farida, poi sua moglie?
Insomma, io ve l’ho detto: una miniera, uno spaccato d’epoca, quasi un romanzo. Che vale tutti i suoi 22 euro. Oltre a un plauso al bravissimo Pomponi.
Articolo del
26/04/2016 -
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