Se qualcuno mi chiedesse com’è un libro di Riccardo Bertoncelli, inizierei col dire che secondo me è un viatico a una certa idea di musica rock, progressiva (non nel senso del genere musicale, ma dell’attitudine) e immaginifica, insieme vitale, sanguigna, ricercata e beatamente fuori di zucca. Giunti ora pubblica la sua ultima fatica, “Topi caldi”, dal titolo che omaggia “Hot Rats” (1969) di Frank Zappa, uno degli artisti feticcio da sempre di Bertoncelli: perfino la copertina è una libera rivisitazione di quella di “Weasels Ripped My Flesh” (1970), in cui la donnola-rasoio è sostituita da un adeguato topo elettrico. Ma non di solo Zappa si tratta: il sottotitolo avverte che ci sono “altri bei malanni”. E in effetti, questa raccolta di articoli scritti per le più disparate occasioni e rivisti e corretti per l’occasione, diventa una sorta di grande storia del rock che raccoglie gran parte dei “diversi del globo” o degli “strambi”, come li chiamava, veniamo a sapere, il babbo di Bertoncelli. Non a caso il volume si apre nel nome di Zappa e si chiude in quello di Sun Ra (altro suo feticcio) e quasi con le stesse parole. Entrambi morti nel 1993, “in una stagione in cui se andarono altri grandi fuorilegge: Federico Fellini, […], John Cage. […] Erano giganti che non rientravano più in un mondo diventato piccolo che si avviava alla dittatura di Internet e alla progressiva orwellizzazione, e avevano troppa dignità per sopravvivere come fossili. Giusto che gli dei se li riprendessero e mandassero sul pianeta qualcun altro di più compatibile con il New World non così Brave”. Orwell e Huxley. Non c’è che dire: il ritratto di questo mondo è perfetto. E poi, l’ecatombe del 1993 somiglia tanto a quella del 2015-2016: Lemmy Kilmister, David Bowie, Paul Kantner, Keith Emerson, Prince, per citare solo i massimi.
Ma Internet? Che ha contro Internet Bertoncelli, che con Internet ci lavora? Forse ce lo spiega lui stesso all’inizio del pezzo su John Fahey, un altro dei suoi feticci: “Io poi, dico la verità, appartengo a una setta paradossale che chiamerò degli “adoratori della nebbia”; non avrei amato come ho amato Fred Neil, Simon Jeffes, Paul Buchanan, appunto John Fahey, se avessi avuto pena e completa delucidazione della loro vita e delle loro gesta, se una benefica foschia non ne avesse magicamente confuso il profilo. Non chiedete dunque a me di andare alla ricerca dei loro segreti, di illuminare anche solo un tratto di vita con la torcia – non lo farei mai, mi sembrerebbe di rubare qualcosa mettendo illuminazione e segnaletica là dove prima c’era una opportuna penombra, habitat ideale per il desiderio e per il mito (non il buio più nero, quello no, altrimenti anche la bellezza si infiacchisce”. Ecco, Internet fornisce l’illusione di poter sapere tutto dei propri artisti preferiti: in realtà si trova ben poco rispetto a quello che c’è da dire e da sapere, ma questa illusione distrugge il mito.
Ecco cos’è un libro di Bertoncelli, e anche questo libro: mitopoiesi, generazione di miti, dei contemplati agire da una rispettosa e reverente lontananza che ne amplifica le gesta, invece di sminuirle, un po’ come nei racconti di Borges, altro feticcio del Nostro, che viene citato a più riprese in questa raccolta. “Topi caldi” sguazza felice in questo mare di “benefica foschia” e narra le audaci imprese di cavalieri e dame erranti, erratici ed eretici, di grandi, ma anche “di minori, di reietti, di rospi rock che nessun principe avrebbe mai baciato” (come si dice di Lenny Kaye che compila “Nuggets”), passando da Zappa a Captain Beefheart, da Dylan a Fahey, da Janis Joplin a Robert Wyatt, da John Cage ai Velvet Underground, da Lester Bangs ai Chunbawamba, da Jack Kerouac ai Decemberists, da Marylin Manson a Ozzy Osbourne, passando per Beck, Gorillaz, Julian Cope, Serge Gainsbourg, Patti Smith, Skip Spence, Charles Mingus, Can, Syd Barrett, Jimmy Page, Neil Young, mille altri e finendo, appunto con Sun Ra, ora adorando, ora bastonando indispettito.
Elemento fondamentale della narrazione è la parola: e appunto gran parte del fascino del libro sta in come sono dipinte le figurine di questo album degli eccentrici tra rock, jazz, folk e avant-garde. Così “Lost Episodes” (di Zappa) “è un dolce labirinto”; Dylan, scrivendo le “Chronicles”, segue “un suo magico spartito da Mr. Tambourine, scivolando sulla canoa dei ricordi da una rapida all’altra”; Tom Waits “cinguetta come un cardellino, diluvia parole come monetine da una slot e affabula, rimembra, spara battute da cabaret, estrae conigli dal cilindro”; Janis Joplin “con la sua voce dalle molte plissettature; di volta in volta è bambina golosa di vita e perfida strega, amante delusa con il cuore sfatto e guerriera sulle barricate del Mondo Nuovo”; gli MC5 parlano “una lingua cruda e ribollente” e “i loro spettacoli sono comizi al rumor bianco”, in un “disordinato sabba che schiuma rumori”; “Tago Mago” dei Can “è una favolosa isola che risuona di suggestioni”. Come si fa a non correre a scoprirli tutti? Bertoncelli sarà anche “cresciuto cercando i musicisti più misteriosi, fuori schema, freaked out. I rinnegati, i reietti, gli spaiati – quelli che nessuno voleva”, ma a differenza di tanti critichini radical chic d’oggidì, non solo estrae meravigliose pepite invece di inascoltabili e vuote new sensation costruite solo per darsi un tono, ma soprattutto vuole condividere le sue scoperte, invitare tutti al meraviglioso banchetto dove ci si sbronza del nettare degli dei, e non creare un culto per pochi adepti che hanno l’unica aspirazione di trovare un motivo per sentirsi migliori degli altri. E ora, se non comprate subito questo libro, vuol dire che lavorate alla redazione di Smorfey.
Articolo del
16/05/2016 -
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