Che il cosiddetto krautrock sia stato uno dei fenomeni più importanti della storia del rock, l’unico non indigeno, peraltro, in grado di influenzarne lo sviluppo in Regno Unito e USA, è cosa risaputa. Tre, su tutti, i grandi nomi inglesi contaminati: Eno, Bowie, PIL. Due i generi che originano dalla branca tedesca del rock: curiosamente, per un fenomeno che nasce come ultrahippie, la techno e il synth pop. Eppure a fronte di tanta ricchezza non corrisponde un’adeguata bibliografia: e men che meno sulle figure che sono state dietro al movimento e ne hanno favorito l’evoluzione. Produttori come Rolf-Ulrich Kaiser, Gille Lettman, Dieter Dierks, Bruno Wendel, Günter Körber, Uwe Nettelbeck; tecnici del suono come Conny Plank.
Ben venga quindi questo “Figli delle stelle” di Enrico Fontana, che in cinque capitoli (dopo due di introduzione al fenomeno) delinea l’attività di questi costruttori di strutture in cui i musicisti kraut hanno trovato modo di esprimersi. Tra tutti, la coppia, professionale e sentimentale, Kaiser-Lettman è quella che ha sempre goduto della peggior stampa, che ha sempre attribuito loro l’indiscutibile merito di aver avuto un ruolo determinante nel decollo del movimento, ma anche il demerito di essere stati degli squallidi approfittatori. Fontana non nega il delirio della parte finale della loro carriera nel krautrock, indotto da dosi massicce di LSD e strampalate teorie new-age, né le scarse paghe ai musicisti e i contratti truffaldini: ma mette questi lati oscuri in altra luce, cioè quella della dedizione alla causa a ogni costo, aggravata da personalità con tendenze dittatoriali, certo, ma, come dire?, in buona fede. O almeno questa è l’impressione che mi è rimasta alla fine della lettura del capitolo ad essi dedicato.
Dieter Dierks, ingegnere del suono e produttore, è rima braccio destro in sala di registrazione di Kaiser, poi, con la messa a punto del rivoluzionario sistema Quadrafonic (che fu però un flop commerciale) comincia a lavorare con star angloamericane e passa nel ruolo di produttore, fino a essere l’uomo dietro il successo mondiale degli Scorpions con Still Loving You. Di poi, il trasferimento a Los Angeles.
Di Conny Plank si favoleggia molto e si sa poco: buono quindi il contributo di Fontana a una conoscenza più approfondita del personaggio, che avrebbe rifiutato di collaborare con il Bowie di LOW e gli U2 di THE JOSHUA TREE: nel primo caso perché contrario all’utilizzo di droghe sul posto di lavoro, nel secondo per incompatibilità caratteriale. Il lavoro con Kraftwerk e Neu! lo porta comunque prima a collaborare con Brian Eno e poi a raggiungere una dimensione internazionale durata fino agli anni 80, che lo portò a lavorare anche con Gianna Nannini, ai tempi di LATIN LOVER, quando la musicista toscana faceva ancora davvero rock. Peccato non si citi l’occasione in cui Plank propose ai Matia Bazar di collaborare nell’album che poi sarebbe diventato ARISTOCRATICA. Fontana, in ogni caso, approfondisce il metodo di lavoro e le caratteristiche dello studio di Plank.
Bruno Wendel e Günter Körber furono coloro che continuarono l’opera della Ohr, l’etichetta di Kaiser, con la Brain e la Sky. Uwe Nettelbeck, infine, nato giornalista di cronaca nera, fu l’uomo che creò i Faust, a involontario stretto contatto con al Kommune2 di Monaco di Baviera da cui uscirono membri di primo piano della Rote Armee Fraktion, l’organizzazione terroristica tedesca di estrema sinistra che agì negli anni ’70. In definitiva, un buon approfondimento dell’unica scena cruciale per la storia del rock al di fuori dei USA e UK.
Articolo del
22/02/2021 -
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