Da una parte, luridi, sdruciti, sottouomini, ci sono loro: Leonardo il Mucculone, Tonino detto Stonino detto lo Storduto, Scorfano, Peluso, Racchione, Sorsodemieru, Duedipressione, Tromba d’aria, Ricchio, Buttasangu, Pecuravecchia e una ciurma di altrettanti scapestrati. Capitanati dal tagliente Scaleno, coadiuvato dal più inquietante Cugginu. Dall’altra, con i jeans Wrangler nuovi di zecca, il Caballero e le Lacoste stirate, Girovitale, Sebastiano Conti detto Sebo, Toshiro Mifune, Luca Viale. Implacabilmente diretti da Angelo Conteduca detto Francisco Marinho detto, per assonanza, il Maligno. In mezzo – ci finirà, alla fine, caricando involontariamente su di sé, come personaggio, (quasi) l’intero senso del nuovo romanzo dell’impareggiabile Carlo D’Amicis – Sabrina Scopinculo. Le due gang si affrontano. Si odiano. Vogliono annientarsi. La guerra è l’unica loro ragione di esistenza. L’estate è il loro tempo. Ogni estate, da sempre. Anche se quella del 1975 finirà diversamente dalle precedenti. Torrematta, sperduta località di villeggiatura salentina, il loro sanguinoso ring. Cafuni contro signuri: finite le scuole, che si aprano le danze. A sonore mazzate.
Uno strabordante poema cavalleresco della modernità, che ha le qualità di quei magnifici e impeccabili plastici degli architetti: riprodurre in scala, senza preoccuparsi eccessivamente di una contestualizzazione in certe occasioni pleonastica, le complicate dinamiche di un periodo storico fra i più tribolati d’Italia. Un romanzo di formazione? Forse, se non fosse che la famigerata etichetta è ormai logora e priva di efficaci implicazioni. Prima di tutto, però, un testo esilarante, oliato e curato fin nel minimo dettaglio, feticista fino al midollo nel suo impastare oggetti, sapori, reliquie, costumi e ricordi di un decennio – quello dei Settanta - che valse un secolo per il sudore e le passioni che vi si sprigionarono, spesso, come in questo caso, senza ragioni apparenti. Ma soprattutto, e semplicemente, divertente, grazie ai meccanismi narrativi – l’iterazione, l’iperbole, i parallelismi e il contrasto riproposto in cento salse diverse, tutte profumatissime - che l'autore romano conosce e applica a menadito, manco fosse un chimico impegnato in laboratorio.
La voce narrante – e i “dispacci” quotidiani - è quella del perfido e nietzschiano Maligno, quattordicenne benestante impegnato a difendere il proprio onorabile lignaggio: vero duce de li signuri – e fidanzato della venerabile Scopinculo – Marinho pattuglia il territorio a bordo del suo Fantic Motor Caballero, ingegnando coi suoi prodi nuove strategie d’attacco. Attorno alla sua battaglia – che sembra così profondamente sociale da rivelarsi, come sempre nell’adolescenza, sostanzialmente privata – si muove un assurdo teatro di guerre giovanili ma non troppo, pieno di imprevisti, trabocchetti, lancinanti verità e franche scazzottate. Sostenute – e qui sta la cifra di D’Amicis e del libro tutto – da un linguaggio volutamente pomposo e sarcasticamente aulico, ma spietatamente preciso. Non una virgola di troppo, non una riga più del necessario. D’Amicis riesce in un’impresa colossale: costruire una finzione dentro la finzione. Acciuffare cioè il lettore in uno strettissimo, doppio passaggio finzionale: quello dalla sua realtà al libro, e quello dal libro alla realtà concepita, inquadrata e vissuta dal mefistofelico Maligno. Un delizioso gioco di specchi per raccontare, attraverso i nettissimi quanto fragili confini di ieri, la radice dell’umoristica babele odierna.
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Articolo del
13/06/2008 -
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