|
“Will the wolf survive?”, cantavano i losangelini Los Lobos una venticinquina di anni fa ai tempi dei loro esordi presso il pubblico non-chicano. Orbene il lupo – anzi i lupi – sono sopravvissuti alquanto bene e, per seguitare nell’indegna metafora (di quanto sia orripilante me ne vo accorgendo man mano che la scrivo, ma dovete avere pietà del povero reporter offuscato dal calore sopra i 40°...) hanno perso il pelo ma non l’antico vizio di proporre, con la loro conclamata perizia, una sapiente alternanza di rock and roll versione roots, Tex-Mex mariachi-style e finanche del buon vecchio blues-rock alla Eric Clapton.
Era dalla metà degli anni Ottanta che Dave Hidalgo, Cesar Rosas e compagni non mettevano piede nella Capitale (una vita fa) e avevamo gran voglia di rivederli. Solo noi e pochi altri però, a quanto pare, perché il grande pubblico ha pensato bene di disertare l’evento: cavea superiore semideserta, quindi, e ampi spazi vuoti anche in platea. Sarà la crisi, sarà che tra pochi giorni c’è il Liga (!!??) all’Olimpico che vuole fior di bigliettoni, sarà che molti sono convinti che i Los Lobos siano solo quelli de La Bamba... Beata ignoranza, insomma.
Ma magari il mancato pienone ce lo aspettavamo anche. Ciò a cui non eravamo preparati è stato un inizio di concerto tra i più incasinati degli ultimi anni. Anzi, sicuramente il più incasinato di sempre, perlomeno a questi livelli. Infatti il concerto, previsto per le 21.00, alle 21.30 sembra ancora lungi dall’iniziare. Pensiamo che sia un problema di poco pubblico pagante, e per qualche istante temiamo che i Los Lobos, schifati dall’indecente risposta degli appassionati della Città Eterna, abbiano deciso di restare in albergo. E invece, quando dieci minuti dopo fanno la loro comparsa sul palco David Hidalgo, Cesar Rosas, Louie Perez, Conrad Lozano e Steve Berlin (i Los Lobos in formazione originale, ragazzi!) e si lanciano in una versione, per così dire, sotto tono di Come On Let’s Go, capiamo che c’è qualcosa che non torna. Perché, ad esempio, Lozano sta suonando il contrabbasso su un brano che palesemente richiede la presenza del basso elettrico? Ce lo spiega Cesar Rosas (con i consueti occhiali scuri e il pizzetto, tale e quale a come lo avevamo lasciato) quando al termine del brano, un po’ imbarazzato, ci rivela che hanno avuto problemi all’aeroporto nello sdoganamento dell’attrezzatura e che quindi stanno suonando... con strumenti di fortuna! Oltre al basso elettrico, mancano anche il sassofono di Steve Berlin e la fisarmonica (la stessa che ha impreziosito numerosi momenti di Tom Waits, fra i tanti) di Dave Hidalgo (un po’ invecchiato e ingrassato, lui, ma sempre monumentale), più chitarre varie, guitarrones, mandolini eccetera eccetera. La prima parte del concerto quindi è più rock e blues piuttosto che Tex-Mex, tra una Will The Wolf Survive?, una Don’t Worry Baby e una bluesata, lunghissima Just A Man. Suonate benissimo, per carità, ‘chè i Los Lobos sono pur sempre una di quelle band composte da professionisti di altissimo livello che hanno alle spalle migliaia di date nei posti più vari con i pubblici più disparati, ma il concerto stenta ugualmente a decollare. Intanto alle spalle dei musicisti inizia ad esserci una certa agitazione: stanno arrivando gli strumenti e man mano viene portata sul palco una serie infinita di casse (ne contiamo in tutto almeno una trentina). Conrad Lozano può finalmente imbracciare un basso elettrico come si deve e parte il primo momento “ispanico” della serata, una bellissima, ispiratissima Anselma. Arrivano anche la fisarmonica di Hidalgo e il sax di Steve Berlin: la serata inizia a entrare nel vivo, e i Los Lobos possono dare dimostrazione del loro eclettismo. Si passa dal veemente rock and roll Shakin Shakin Shakes con Cesar Rosas in evidenza, ai classici ispanici La pistola y el corazon e Volver Volver, rese come e forse meglio che sul disco dal precisissimo Hidalgo, dall’immancabile Evangeline – tipica di un certo r’n’r anni ’80 di area losangelina in cui sia Blasters che Los Lobos erano specializzati – alla toccante Kiko And The Lavender Moon, tratta dall’album del 1992 che fu forse il vertice dei Los Lobos. Il finale, con il pubblico finalmente tutto in piedi, è di fuoco, con La Bamba di Richie Valens che viene perfettamente miscelata con Good Lovin’ dei Rascals, seguita dal bis comprendente una I Got Loaded più danzereccia che mai.
In questa bella fiesta, del prossimo LP Tin Can Trust in uscita ad agosto non c'è stata traccia, e né Hidalgo né Rosas vi hanno fatto alcun accenno. Una cosa però è sicura: se su disco i Los Lobos, negli ultimi anni, hanno spesso lasciato a desiderare, dal vivo i ragazzi del barrio di East Los Angeles sono una di quelle band che non deludono. Mai. E alla Cavea dell’Auditorium di Roma i (troppo) pochi presenti ne hanno avuto, se fosse stato necessario, un’ulteriore conferma.
Articolo del
15/07/2010 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|