|
Sono Peter Kruder & Richard Dorfmeister in The Anniversary Session che ci aspettano stasera in riva al laghetto di Villa Ada, luogo mitico di ozio e divagazioni (post-)adolescenziali di Roma nord-est, ma anche di sound system e sperimentazioni culturali e sonore dei ‘90s romani, sognando la Jamaica e ripiegando nella calura estiva da Zagaja, a Capocotta: Villa Ada Posse, Brusco, ma anche future writers, 00199, della stazione Nomentana e poi Brutopop, il giro che accompagnerà Militant A, dopo l’insurrezione sonora di Onda Rossa Posse, verso la poesia di Assalti Frontali.
E così eccoci qui, in casa, a festeggiare il lungo quindicennio di questa sbilenca coppia Kruder & Dorfmeister: dj, produttori, musicanti viennesi, che proprio alla metà dei ‘90s crearono il sommovimento che ci portò dalla oscura e post-industriale Bristol di Massive Attack (che poi incontreranno la voce angelica, da musa incontrastata del goth celestiale, di Elizabeth Frazer-Cocteau Twins) al cuore crepuscolare, malinconico e lezioso della Mitteleuropa: una scuola di Vienna di fine millennio, che aprirà il varco per la bohème berlinese degli anni doppio zero.
Pubblico non delle grandissime occasioni: azzardiamo poco più di un migliaio di tagliandi venduti al non così invitante prezzo di 25 euro. Qualche viso sorridente che resiste agli “anta” oramai passati, quindi 20/30 something in comitiva e pochi o nulla teenagers. Ma lo spettacolo sembra assicurato. I due nostri amati miscelatori di suoni nel solito altare laico da dj, questa volta posizionato in alto, distante dal dancefloor, quasi da cattedrale medievale, con otto pannelli visivi ai loro piedi, fianchi, spalle; mentre sotto, sul palco, i due MC attraversano un po’ spaesati la pedana, alternando passaggi ragamuffin, con folate post-blues. Tutti e quattro, tra suonatori e cantanti, in tenuta da Blues Brothers, ma senza cappello e occhiali da sole. E lo spettacolo visivo è eccellente: da fiamme infuocate che avvolgono il palco, a minacciosi fulmini che squarciano il buio; con movenze di ballerini Saturday Night Fever Style, alternate a immagini da visagista esaltato dalla visione lisergica di tele di Mondrian.
Sul versante musicale ci pare che Kruder & Dorfmeister vadano sul sicuro, riproponendo quel sound misterioso che dal downtempo ci aveva introdotto al drum’n’bossa e al dub electro, sfocato verso l’alba. A esser sinceri è stata davvero una breve summa delle altre nottate che avevamo passato in loro compagnia a cavallo di millennio, tra il Brancaleone di Roma, Ferrara sotto le stelle, il Pincio sopra Piazza del Popolo e Pavia, se non ricordiamo male; ma questa volta ad un orario insolito, visto che il tutto si è concluso intorno a mezzanotte e mezza, quando di solito cominciava il meglio. È uno spettacolo soprattutto visivo, in due set da 45 minuti, perché così si è articolata la serata, cui si aggiungono un paio di bis, quasi da concerto tradizionale. Il primo che riprende l’arcinoto ritornello, colonna sonora del mondiale 2000, dai White Stripes, che fa sarcasticamente osservare a qualcuno perso nella neanche troppo invasata danza: “Ahò, c’hanno proprio presi pe’ coatti!” Mentre l’ultimo ripropone una versione aggiornata di Let It Be in cui il ritornello suona K&D, K&D, K&D, con tanto di grafica a cuori.
È un tour che vuole verbalizzare quanto fatto in questi anni. E noi ameremo per sempre l’indolenza sorniona e stupefacente di questa coppia di amici, prima di tutto, che mentre il mondo effervescente dello star-system dei ‘90s chiedeva loro remix e un disco di musica propria, K&D preferivano prendere tempo, deviare in progetti paralleli, Tosca e Peace Orchestra, sfornare al massimo un formidabile doppio cd di remix che avrà venduto decine di migliaia di copie e accompagnato sfilate, pubblicità, parties di fighetti bolliti, aperitivi a lume di candela, rientri in macchina sotto il sole cocente, dopo rave in località irrintracciabili; mentre i nostri due eroi se la godevano nei loro locali underground viennesi, tra una boccata di fumo e l’altra. E poiché scriviamo in italiano e sappiamo che non ci leggeranno, ci permettiamo di pensare e dire che oggi il loro posto dovrebbe essere in una incandescente session a scambiare mixer, piatti e stringhe digitali con Four Tet, piuttosto che con Caribou. Un po’ come per Tricky visto in forma fisica strabiliante all’Auditorium qualche settimana fa, ma anch’egli musicalmente troppo ripiegato tra hard-dub tardi ‘90s, mentre i suoi figliastri musicali infestano le nottate della NEET generation, al suono cangiante di un dubstep che, trovati i propri genietti digitali (Burial, Kode 9, Scuba, Darkwan…), è forse in cerca della propria voce e non la trova: ma quale migliore di Tricky?
Articolo del
27/07/2010 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|