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Nonostante i prezzi a volte inavvicinabili, le cancellazioni dovute a cadute rovinose, di cantanti un po’ tonde, e questo caldo infernale che sta facendo sudare anche le statue di marmo, Rock in Roma va avanti con uno degli eventi di punta del suo cartellone: gli Afterhours. Ma attenzione, non sono gli Afterhours dell’ultimo periodo, stasera la band vanta la presenza di uno dei personaggi più interessanti nel panorama sperimentale, nonché autore di cinque album con la band prima di intraprendere una carriera solista di tutto rispetto.
Intorno alle 22.00 gli spalti sono già pieni, anche giù la risposta del pubblico sembra più che buona. Intanto di colpo le luci si abbassano e poche, spartane, note introducono un brano che fa letteralmente esplodere gli astanti, Agnelli dà fuoco alle polveri con Punto G, modificata nella struttura e lentamente rimpolpata dall’arrivo di (Don) Rodrigo, in tunica nera. Xabier, con codini, tatuaggi e catene, dà una lezione di stile e classe che non teme paragoni sul palco, la sua presenza scenica e il suono noise sono due punti di forza imbattibili, senza ombra di dubbio questo chitarrista, folle, torreggia sul resto della band. Agnelli è sempre in nero, polsini in pelle lunghi e collare con gancio. Questa versione bondage/dark degli Afterhours prende lentamente posto dietro i propri strumenti e la storia si ripete. È impossibile non cantare i loro pezzi a memoria, perché è proprio di memoria che la gente ha bisogno per stare dietro ai loro brani, devastati da un’acustica veramente vergognosa. Violino basso e batteria sono letteralmente seppelliti dietro un muro di suono, distorto, creato da ben tre chitarre. Ci vorranno ben sei brani, e il superamento di dieci file in avanti, prima che il tecnico del suono si risvegli dal suo torpore e ponga rimedio a quella bolgia di suoni sferraglianti. Intanto vengon giù, come un’inarrestabile slavina, l’urgenza di Dea e la radioattività di Veleno. Poi un attimo di respiro per introdurre Il Paese non è reale, con il solito Manuel che, affetto da paraculite cronica, ringrazia il pubblico per la vittoria a Sanremo. Tutti provano a cantarla ma Agnelli impone simpaticamente il silenzio, dicendoci che non ha bisogno di aiuti perché se la ricorda tutta. Poi arrivano chicche come Televisione, raramente eseguita dal vivo, e i vocalizzi di Varanasi Baby e Posso avere il tuo deserto che schiantano il pubblico, già provato da La sottile linea bianca. Manuel è ben conscio di dover mordere e affondare il colpo, strappando le carni come solo lui può fare. Ad aiutarlo in questo sporco lavoro c’è il suo ex compagno Iriondo, le sue sono bordate violente, incidono la pelle come rasoiate mentre Manuel si lancia in dissonanti soli che inferociscono il pubblico, mai sazio. C’è ancora tempo per Ballata per la mia piccola iena e una cover, del mai troppo compianto Alex Chilton, The Letter. Intanto sono in molti ad aspettare Male di miele, tellurica scossa emozionale, simile ad un orgasmo multiplo regalatoci da uno sconosciuto. Uno striscione bianco, “facce strategie”, ondeggia di fronte alla band che non può esimersi dal fottersi l’intera folla, fatta di cori urlanti Strategie.
Il knock out definitivo arriva con la carnale Il sangue di Giuda, inaspettata come una rasoiata da tergo; dolce prima, violenta e laida dopo, deflagrata in tutta la sua commovente rabbia, sanguinante come poche impatta sulla massa di corpi sudati. Un salto nel (Hai paura del) buio di più di dieci anni indietro ci ha ridato, per questa sola sera, una band vera, che ha osato con l’intento, raggiunto, di far(ci) male, portandoci alla deriva emozionale con convinzione, senza risparmiarsi.
Articolo del
31/07/2010 -
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