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Blitzen Trapper
Una seconda opinione su: "Destroyer Of The Void" dei Blitzen Trapper (Subpop, 2010)
5/11/2010
di
Eugenio Vicedomini
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A circa due anni di distanza dal convincente Furr, la formazione americana dei Blitzen Trapper torna con un nuovo lavoro dal titolo Destroyer Of The Void. Il disco include dodici brani in cui vengono miscelate varie atmosfere revival passando dal rock sudista dei Lynyrd Skynyrd al folk di Neil Young; dalle atmosfere beatlesiane all'alt-rock dei Wilco. I testi sono invece incentrati su tematiche fantasy, con grande spazio a draghi, fate e divinità varie. Come lo stesso Earley (il leader del gruppo) ha confessato, i pezzi di Destroyer Of The Void si compongono molto spesso di più motivi fusi assieme. Purtroppo la vera criticità di questo lavoro consiste nel fatto che la band di Portland, invece di produrre dei brani che fossero una rielaborazione originale di tutte le loro influenze musicali, ha cercato troppo ostinatamente di trarre linfa vitale invocando invano divinità che hanno fatto la storia del rock con il rischio di scadere in un manierismo infruttuoso nella vana ricerca di un illuminazione proveniente dall’alto. Il risultato sono composizioni sospese tra spensierati barocchismi pop e malinconie folk rock anni '60-'70.
Il disco si apre con la title-track Destroyer Of The Void che è il brano più ambizioso dell’album: una mini-Bohemian Rhapsody appesantita da varie reminiscenze glam di band come Queen e Mott The Hoople. Nonostante una produzione ineccepibile, numerosi cambi di dinamica ed un’architettura intrigante (un collage di tre brani uniti assieme alla stregua della beatlesiana Happiness Is A Warm Gun) il risultato finale, a dire il vero, non è particolarmente efficace a causa di vari vuoti strumentali nei passaggi da un motivo all’altro. Note dolenti risuonano (ahimè!) anche in brani come Heaven And Earth e Love And Hate dove sono racchiusi il Macca più dormiente ed una patetica zuppa riscaldata della West Coast al sapore delle “Aquile”. La band si cimenta anche in territori country alla David Crosby (Below The Hurricane), atmosfere crepuscolari (The Man Who Would Speak Time) e folk dai toni più mossi (Laughing Lover, Evening Star, Lover Leave Me Drowning). Ma, ad onor del vero, sono pochi i momenti davvero significativi, quelli in cui il gruppo dimostra di avere una personalità. Come spesso accade, il pezzo più ispirato del disco è, a mio parere, proprio il brano meno prodotto (ovvero quello che implora meno ispirazione agli Dei pagani) ed è rappresentato dallo splendido e dolcissimo duetto di Earley con la cantautrice Alela Diane nel brano intitolato The Tree.
Alla fine il lavoro non è assolutamente da buttare anche se per tutto il corso dell’album si ha la fastidiosa sensazione di ascoltare qualcosa di già sentito e poco originale come se ogni brano fosse il negativo di una foto di un artista apprezzato dalla band di Portland. I Blitzen Trapper dimostrano anche di avere una buona scrittura in fase di arrangiamento, ma tutto scorre compassato, con pochi colpi ad effetto. E il risultato è qualcosa che, in fondo, lascia poco o nulla all’ascoltatore denunciando una certa mancanza di personalità da parte della band americana a discapito di una omogeneità del prodotto finale. Ogni pezzo sembra una cosa completamente differente dall'altro e, se talvolta può essere un pregio, in casi come questo equivale al movimento di una clessidra che continua a girare su se stessa in cerca dell’ispirazione giusta.
Articolo del
05/11/2010 -
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