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Sono da poco passate le 21 quando, in un PalaLottomatica gremito in ogni ordine di posto, il professor Francesco Guccini, visibilmente appesantito, appare sul palco: "Ci ho pensato molto, lo dico o non lo dico, ma si, lo dico: buon Bunga Bunga a tutti". Già, perchè ogni parola che il professore pronuncia è pensata, riflessa, mai banale. Sente come sempre l'esigenza di parlare, in un mondo in cui si starnazza sempre di più ma si vola sempre meno. E dunque, con la consueta ironia che conquista subito i 15.000 fortunati, si lascia andare ad alcune riflessioni e ad alcune giuste domande: "ma poi cosa cavolo è questo Bunga Bunga?" si chiede, come tutti noi. "L'avvocato mavalàghedini dice che le cene a casa del Premier sono cene normali. Anche a casa mia organizzo cene normali, ma poi non si fa il bunga bunga, dunque o sono un coglione io...." Si ride tutti insieme su cose per le quali nulla ci sarebbe da ridere: ed infatti l'amara considerazione finale è la giusta conclusione a quel prologo: "La verità, ragazzi, è che il bunga bunga lo stanno facendo a tutti noi.". Si può cominciare: il professore imbraccia la sua chitarra (che userà solo per la canzone di apertura e di chiusura) e avverte: "Con questa prima canzone proverò a stupirvi". Non ci casca nessuno, perchè tutti sanno che da quarant'anni i suoi concerti sono un regalo di cui non conosci il contenuto, ma sai come cominciano e come finiscono. E questa cosa, quelli della mia generazione, si ostinano ancora a chiamarla coerenza.
Si parte, dunque, e dopo la sigla iniziale Canzone per una amica arriva già una novità: la bellissima Lettera, non sempre cantata nei suoi concerti. Poi Noi non ci saremo, canzone scritta dal professore che divenne cavallo di battaglia dei Nomadi. Si prosegue con Il frate, anche questa da considerare una novità per i suoi concerti, e un trittico di canzoni che arriva dritto al cuore. Amerigo, dedicata ad un suo prozio che emigrò in quell'America delle miniere, dove tagliarsi i capelli a zero none era una moda ma una necessità per evitare che la polvere del carbone ci si depositasse sopra (e fa bene il professore a raccontare queste storie che sono Storia, perchè sa che buona parte del suo pubblico è molto giovane e necessita di qualche pillola di saggezza per tentare di arginare una deriva razzista a cui tutti assistiamo quasi inermi). Poi la struggente Il pensionato, canzone dedicata al suo vicino di casa che si arrabbiò con lui perchè sentì invaso il suo tetto dall'antenna televisiva del professore. Che prontamente riparò all'invasione togliendola, nonostante a quel tempo non ci fosse ancora Minzolini.... Che dire, poi, di Autogrill? Di quando cioè gli Autogrill avevano un loro perchè e potevano dare la sensazione di normali punti di ritrovo. Oggi, nelle loro file disumane ed incivili, anche i panini con i nomi più strani sembrano fatti da pittori dell'ottocento con merce scaduta; tanto che dopo averli mangiati ci vorrebbe l'igienista dentale, e ogni riferimento non è puramente casuale. Poi c'è spazio per l'amicizia (Canzone per Piero), uno di quei valori che quando è vero e profondo dura nel tempo, tanto da costringere il professore a correggere i suoi 22 anni del testo originale della canzone con i 61 realmente trascorsi ora di legame con il personaggio della canzone. "Quando mi chiedono se ho mai scritto canzoni d'amore io nego, ma in realtà non è vero". Stiamo parlando di Farewell, splendida, seguita da Inutile e dall'altrettanto splendida Quattro stracci. Poi Vorrei e poi un inedito, Su per la collina, dedicata ai partigiani. "Perchè ora che c'è una assidua rivisitazione della storia, non dimentichiamo che i vinti furono a loro volta vinti, e non bisogna vergognarsi o aver paura di rivendicare gli ideali in cui crediamo"..
Sono trascorse 2 ore, ma il 70enne professore, in piedi dall'inizio, se la cava benissimo, alimentato da qualche goccetto di vino fresco che gli da la carica. A volte sbaglia tempo, a volte sbaglia strofa, ma lui è sempre stato cosi. Anche ai suoi musicisti, dopo Bisanzio, capita di sbagliare l'attacco di Canzone per i dodici mesi, e il professore li riprende: "A Sting questo non sarebbe mai successo". E' tardi, si avvicina la notte: e chi, meglio del professore, può raccontare il fascino e le sensazioni che la notte trasmette ad ognuno di noi: magari "quando i moralisti han chiuso i bar, e le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori", e siamo costretti a fare i conti con le nostre solitudini, e magari scegliere se continuare a camminare nel "gregge delle tante, stanche pecore, o non legarsi a quella schiera e morire pecora nera" (vi prego: per chi non la conoscesse, ascolti attentamente il testo di Canzone di notte n.2 di cui stiamo parlando, scritta quasi 40 anni fa, e ne verifichi l'incredibile attualità). Comincia ad essere stanco, il professore, ma per la gioia del suo pubblico intragenerazionale che conosce a memoria tutte le sue canzoni, c'è ancora spazio per altri 2 cavalli di battaglia. Parliamo di Eskimo, che a mio avviso, se esistesse un museo delle cose da salvare per i posteri, avrebbe tutto il diritto ad essere conservata li, come patrimonio mondiale. Ed infine Cyrano, al termine della quale il professore chiede clemenza: "Se ci tenete alla mia salute, non chiedetemi altro, quella che andiamo a suonare è l'ultima canzone, con la quale proverò di nuovo a stupirvi". Riprende a spalla la chitarra, usata come detto solo per la canzone di apertura: "Il mio vicino di casa mi diceva sempre: quello che fece l'attentato non era un pazzo, era un anarchico".. Doverosa precisazione storica, per chi non ha memoria o per chi volesse infangare la memoria di coloro che, per un ideale, hanno dato la propria vita. "Non so che viso, neppure come si chiamava". Noi invece sappiamo. Sappiamo il suo viso, che è quello di un barbuto professore di montagna; un indigeno della pianura padana, ma non un padano. E sappiamo il suo nome: Francesco Guccini, letterato, poeta, forse musicista, nostra memoria storica e forse anche di quelle generazioni future che erano li e che lo seguono con la nostra stessa passione. Le luci del PalaLottomatica si accendono sulle ultime strofe de La locomotiva. I pugni sono rivolti al cielo, come sempre; e come sempre qualche lacrima di illusoria nostalgia solca i volti di quelli della mia generazione.
Arrivederci, maestro: torna presto a trovarci. Vogliamo continuare a sognare: non vogliamo starnazzare, come le pecore bianche, vogliamo volare, come le pecore nere. Per questo abbiamo bisogno di un uomo di altri tempi, perchè quelli di questo nostro tempo non ci piacciono neanche un po' e ci tengono inchiodati a terra. E da terra non si vede nulla di bello.
Articolo del
07/11/2010 -
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