|
Premetto che non conosco la discografia di Dente. Seconda premessa: nonostante mi sia sempre chiesto come faccia, uno come Dente, ad ottenere un successo del genere prometto che lascerò da parte ogni pregiudizio, cercando di essere professionale e distaccato. Questa serata, al Teatro dal Verme, si presenta come uno degli eventi più interessanti dell’anno. Qui infatti, insieme a moltissimi altri ospiti, si chiude il tour L’amore non è bello. Stranamente, o forse no, il teatro registra il sold-out, in molti sono rimasti fuori, in attesa di un improbabile biglietto. Dente, visibilmente emozionato e zittito dalle aspettative in sala, lo sa e se ne scusa durante lo show. Si parte sulle note di La presunta santità di Irene, gonfia di fiati e archi, tre per l’esattezza, che sfoggiano arrangiamenti da brivido. Sul palco Dente appare in piena forma, sorretto dall’ormai impareggiabile Enrico Gabrielli, polistrumentista capace di infilarsi fra i riff di Toni Iommi e le partiture di Bach.
Sono poche le parole e molta la musica nella prima parte dello serata, Dente non riesce a star tranquillo, ci prova ma è macchinoso e lento, ha bisogno di qualche applauso di incoraggiamento per lasciarsi andare. Venticinque canzoni che ripercorrono la sua discografia, infarcita di altri brani legati agli ospiti che si alterneranno via via sul palco. Veste giacca e pantalone nero con camicia bianca, sotto la chitarra le sue ginocchia, che potrebbero spezzarsi da un momento all’altro data la magrezza, si incrociano in una danza buffa. Nel frattempo i suoi pezzi vengono giù come una cascata, a volte malinconici, altre pungenti ed ironici, si va da A me piace lei a Stella passando per L’amore non è un’opinione. Il lavoro di Peveri sui testi è qualcosa che va al di la semplice capacità di scrivere brani, musicalmente semplicissimi, ma con un forza interiore dirompente, pari a quella di un sisma. Se si considera inoltre il lavoro, di fine grana, di Gabrielli impegnato in un piccolo show dentro lo show, allora risulta impossibile non apprezzare questo spettacolo. Quando parte Verde, di Federico Fiumani, ecco arrivare il tanto controverso, ma amato, Vasco Brondi che a stento riesce a cantare, ma d’altra parte risulta un gigante nel declamare le parole, di un foglietto che tiene in mano, mandate in loop e distorte dalle urla finali. Seguono altri quattro brani prima che Dente spiazzi il pubblico con alcuni accordi che introducono Male di miele, rivestita di una lucente armatura swing che la rende morbida e sensuale. In pochi secondi Manuel Agnelli guadagna il palco, tutto agghindato, con papillon e codino impomatato. Il pubblico esplode in un delirio che non mi meraviglia affatto, in tutte le sue apparizioni come ospite, Agnelli ha sempre rubato la scena, riuscendo a strappare applausi anche da fermo. In Italia è considerato un vero Dio del rock. I due, che sembrano in perfetta sintonia, non perdono tempo attaccando Beato me, tratta da Il Paese è Reale. La tensione non è più un problema, Dente è sereno ora e si può permettere di presentare un nuovo semplicissimo, ma penetrante, brano di cui non conosciamo il titolo ma che potrebbe, a breve, entrare di prepotenza fra le sue “hit”. Impagabile il lavoro del pianoforte che si intreccia alla voce, nei rari passaggi vuoti gli inserimenti del bassista irrobustiscono le linee melodiche, facendo apprezzare la dinamicità di questo ottimo musicista. Poi arrivano i Pertubazione che propongono Buongiorno Buonafortuna, ma sembrano innocui, Dente canta l’ultima strofa senza lode né infamia. Max Collini risulta l’altro highlight della serata, porta con sè Don Giovanni, tratta dal primo e incompreso album dell’ultimo periodo di Lucio Battisti, mentore e faro nella crescita musicale di Dente. Collini recita, poi prova a cantare e, sebbene i risultati siano altalenanti, sembra essere il culmine dello spettacolo. C’è ancora tempo per un brano da solo, Le cose che contano, ed è la volta de Il Genio, nella persona di De Rubertis alle tastiere e Alessandra Contini alla voce, per una versione divertente, ma innocua, di Precipitevolissimevolmente. Giro di boa, Dente ha superato indenne la prima metà del concerto e ora perde tempo, molto a dire il vero, fra un pezzo e l’altro. Ci chiede di scusarlo, perchè è stanco e sfatto, intanto infila una serie di battute vincenti. Il pubblico ride a tutto, anche per le cazzate, tranne una, irripetibile anche qui. Si riparte sulle note di Quel Mazzolino, seguita a ruota da La più grande che ci sia che lo vede imprigionato al piano, prima di sparire dietro le quinte. Gli encore vantano questo trittico: Baby Building, Per nome, Vieni a vivere. Come chiudere diversamente se non con La cena di addio? Dente invita tutti sul palco lasciando loro possiblità di piazzarsi dove meglio credono, Agnelli chiamato a gran voce si siede ale tastiere, Alessandra ai cori, Brondi è l’unico assente.
Nel finale, allegro e spensierato, Gabrielli sorride, i suoi compagni di fiati si denudano mentre Dente mostra il suo lato più delicato, apparendo visibilmente commosso e grato a tutti i presenti. Una serata davvero pregna di emozioni che non sarà facile dimenticare.
Articolo del
09/11/2010 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|