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Eccolo qui il nostro genietto elettronico preferito: Four Tet, al secolo Kieran Hebden, che in maglietta rossa e chioma riccioluta già smanetta dietro i suoi laptop, effetti, mixer, cavi e silicio mentre tocca di strozzarsi in gola l'ultimo negroni, con piatto freddo incluso, nella confortevole offerta economica di un Circolo degli Artisti che sembra sospeso in una eterna primavera romana.
È sold out la serata, come quella che bucammo forse un paio di anni fa. Questa volta si entra e la sala è gremitissima. Luci blu-violacee-verde acido alle spalle e il nostro placido folletto, trincerato dietro il suo castello di suoni e beat elettrici, ondeggia al ritmo delle frequenze che ci spara addosso, invero con volume probabilmente non adeguato alla performance. E in più si nota una certa diffidenza del pubblico a un live set che sin dall'inizio trasmette tutte le coordinate soniche giuste per combinare virtuosismi electro, da ascolto coinvolgente, a una certa incidenza di battiti che dovrebbero essere beatamente assecondati da empatici movimenti del corpo. Così non è, tranne che in rari spazi del parterre: le estatiche nottate da intelligent dance muzik in clubini di Londra, Barcelona e Berlino sembrano distanti epoche geologiche. L'attenzione ossessivo-visivo verso il palco domina la tentazione di perdersi dentro le melodie celestiali che il sapiente Four Tet ci distilla; e questa volta non ci sono neanche visuals a giustificare lo sguardo fissamente rivolto al palco. Un buon sociologo indagherebbe questa assoluta dominazione visiva del pulpito, leader, protagonista, anche in un pubblico che siamo sicuri non abbia nulla di questa deprimente vocazione alla subordinazione. Ma il buon Kieran ce la mette tutta per liberarci delle nostre incrostazioni psichiche, deliziandoci con splendide e caleidoscopiche ouverture, che precipitano in echi e riverberi angelici: tra loop globali e frammenti intimistici. Attenzione al pulviscolo elettronico campionato e aperture melodiche senza pari, con un crescendo di battiti per minuti che, rifiutando ostinatamente la cassa dritta e “coatta”, mantiene l'atmosfera in una sospensione elettrica percossa da continue esplosioni: oscurità e luminescenza sembrano essere intimamente annidate nel cuore di questo alchimista distillatore di suoni. Così l'ultimo capolavoro There Is Love In You viene ampiamente riproposto e manipolato nel live: Angel Echoes sospesa tra echi e sussurri, quindi una versione di Love Cry che guadagna in battiti infiniti, e una Plastic People da ossessivo cesellatore di loop. Soprattutto una splendida Moth che ci pare il pezzo migliore della serata: l'atmosfera cupa e fumosa, che è il mood di Burial, iscritto anche nella loro collaborazione, viene amplificata e ulteriormente sporcata nel live, con il potenziamento di una batteria che rende questo pezzo quasi l'archetipo di un possibile hit da oscuro dancefloor del decennio che viene.
Il live si chiude con un breve bis in testacoda, visto che riprende Spirit Fingers da Rounds, di quasi dieci anni fa: permanente accenno di una falsa partenza minimalista. Il tutto per una non entusiasmante durata di poco più di un'ora e mezza. Forse troppo poco! Ci consola il fatto che siamo già proiettati verso il Coronet di Londra, dove questo fine settimana il nostro incontrerà Caribou, Nathan Fake, James Holden e molti altri, tra cui anche noi, speriamo! E quando, dopo una mezz'ora, Kieran sale sul palco per smontare il set, nella più completa solitudine, gli diciamo che ci vedremo lì e il sorriso timido, da introverso bravo ragazzo, si apre in un esterrefatto: “Really?!” “Really!!”
Articolo del
15/11/2010 -
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