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Lo scorso ventiquattro novembre arriviamo al Circolo degli Artisti sperando di trovare delle risposte ad una domanda ben precisa. Esattamente, ci chiediamo cosa potranno mai avere di tanto seducente dei tizi le cui liriche ragguagliano con somma costanza dei riferimenti accartocciati come attorno a dei cioccolatini?
Ci siamo messi a cercare in un locale stipato il giusto da un pubblico amico e che sorprende di gran lunga per la sua amalgamante varietà: più maschietti che femminucce (guarda te gli stereotipi delle volte...), quasi più brizzolati che ventenni innamorati, gioia ed immensa beatitudine negli sguardi dei presenti che in cinquanta minuti filati di concerto paiono tutti come stregati dal ricordo della loro ingenua adolescenza. La risposta incassata è che i Pains Of Being Pure At Heart abitano in modo perfetto quella gloria che da sempre santifica la ‘purezza’ del pop: possiedono l’entusiasmo della giovinezza, hanno quell’irritante spontaneità di proferire sui mali del cuore e la sensibilità di una tastierista dai lunghi capelli neri. Osservati dal vivo, i quattro, danno l’impressione di essere dei professionisti. Sanno suonare, e lo fanno pure fin troppo bene, esattamente da manuale. Zero pause, niente fronzoli né tentennamenti. La scorrevolezza del live è pari a quella su disco. Anzi, tutto farebbe pensare che i palchi, insieme, li calchino come minimo da dieci anni, se non fosse che Kip Berman più volte si tradisce al microfono rammentando che l’esordio omonimo è in vendita al banchetto. L’album, quello nuovo, il secondo ci ricorda Berman, uscirà (come di consueto) entro la prossima primavera.
Altro che Stop Me If You Think You’ve Heard This One Before: qui c’è solo da ringraziarli, perché, in fondo, i Pastels non sono mai stati così vicini, figurarsi, poi, i chitarrismi dei Jesus And Mary Chain e le grancasse dei Black Tambourine. Eppure a guardarli così da vicino, ci viene, anche, da pensare che New York è la città meno crepuscolare della terra, la meno antiquata e fumosa di sempre, e difatti quegli strumenti riecheggiano a fondo davvero tutto, tranne l’urgenza e l’autenticità nebulosa del frastuono dei sensi. L’hit non si aspetta mai più di tanto. Le quattordici tracce in scaletta sono pezzi da novanta eseguite magistralmente, tant’è che alla passività corporea della band si contrappone un pubblico che ondeggia, sempre, in sincronia tra scatti di testa e mani levate verso l’alto ad applaudire.
I newyorkesi sanno di avere un cervello, oltre che un cuore puro, e lo dimostrano aprendo la data romano con la migliore espressione del loro intero repertorio: This Love Is Fucking Right è una vera dichiarazione d’intenti, anche la sala ne è cosciente e impazzisce all’istante. Ma il filo del live continua ad essere teso sulla ripetizione geometrica delle sintonie, non diversificano mai per un istante, anche quando a scorrere via veloci sono quei grandi singoloni di Young Adult Friction e Come Saturday. Fiore all’occhiello della serata è Heart In Your Heartbreak, primo singolo estratto che anticipa di qualche mese l’uscita di Belong. Per il resto il piatto forte che riesce sempre meglio ai Pains è Everything With You raddoppiato per due dalla melodia assassina di Say No To Love. Tutto fila via abbastanza liscio, fino a quando a metà scaletta provano il colpaccio oscurando un po’ le finestre per creare atmosfera. Ci riescono perfettamente con Stay Alive, dove il tentativo di sembrare degli autentici scozzesi gli viene alla grande. Davvero molto infelice è l’esecuzione di Contender che trasportata in versione acustica da un Berman rimasto solo sul palco, vorrebbe strappare lucciconi e sentimenti soffusi, ma che, invece, niente, e gira che ti rigira non riesce proprio nell’impresa. A conferma del fatto che tra le righe c’è molta Inghilterra, l’ultimo pezzo atterra in sala trionfale, tra ovazioni, sorrisi e intese di commozione anche tra gli sguardi degli estranei. Bravissimi, tanto onore al basso e alle chitarre, ma quando sul finale ci licenziano con Gentle Sons capiamo che i nostri applausi rimbombano così fragorosi perché, in realtà, la memoria ci ha preceduto, già rivolta com’era alla Glasgow dei fratelli Reid.
Ce ne andiamo quasi appagati e meravigliati di quanta gradevole competenza, pulizia e pregiata riproducibilità tecnica, si portino dietro i Pains Of Being Pure At Heart. Talmente bravi che ci lasciano dell’amaro in bocca. Ma poi fiduciosi come siamo, sulla strada di casa ci consoliamo, pensando che, in fin dei conti, quando l’amore è “fottutamente giusto”, perfino l’acqua può trasformarsi in gin-tonic, e la musica in sottofondo diventare la nostra cassettina, inedita, di Baci Perugina.
SETLIST:
This love is fucking right 103 Young adult friction Come saturday A teenager in love Higher than the stars Heaven’s gonna happen now Heart in your heartbreak Stay alive Everything with you The pains of being pure at hearts Contender Say no to love Gentle sons
Articolo del
30/11/2010 -
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