|
Dopo cinque dischi, e un ep doppio che raccoglie rarità ed inediti, eccoci finalmente al cospetto di una delle band più psichedeliche e rumorose degli ultimi anni. Stiamo parlando dei californiani The Warlocks, ospiti del Circolo degli Artisti in una serata romana molto umida. Nonostante la temperatura, sensibilmente abbassata, fuori si sta abbastanza bene, vicino al bar è possibile scambiare due chiacchiere veloci con Bobby Hecksher, leader della band, colto a fumare una paglia dall’aspetto strano ma dall’odore “normale”. Pochi minuti dopo le 22.30 il giardino si riempie di anime in uscita dal concerto dei Tre Allegri Ragazzi Morti. C’è ancora il tempo di farsi una bionda media (beato te, n.d.resp.cont.) mentre dentro il necessario cambio palco è in allestimento.
Alle 23.30 i cinque figuri, armati fino ai denti di Gibson varie, s’impossessano del palco mentre la psichedelia, allo stesso modo, s’impossessa delle loro menti. L’effetto lisergico prodotto dalle prime note di queste tre chitarre in avanti ha qualcosa di deviante, di volutamente malato. Quello a cui assistiamo stasera è un’orgia, di suoni, i cui protagonisti sono i Grateful Dead e i Velvet Underground e quel tipo di psichedelia americana impossibile da confondere con altro. La musica si muove voluttuosa, le derive blues, contenute in nuce in Red Camera usata come opener, tradiscono il lato più morboso della band. Il pubblico romano mostra, verso la band, un’assoluta dipendenza da eroina, conscio di questa bruciante risposta il quintetto non si risparmierà dando luogo ad uno spettacolo pirotecnico. L’acustica, perfetta stasera, esalta il muro di suono costruito dalla somma delle tre asce che, da sole, potrebbero appianare una catena montuosa. Chirurgico il lavoro del basso, distorto e pesante, nelle mani della sapiente e simpatica Mami Sato. Il resto è un omaggio alla psichedelia in tutte le sue aberrazioni che vanno dai 13th Floor Elevators agli stranianti effetti applicati agli accordi, violentati, dei Velvet Underground. Quando i brani superano i cinque minuti si entra nella vera essenza della band. I loro ossessivi crescendo sono simili all’andamento incessante delle onde, con l’aumentare dell’intensità la band raggiunge picchi parossistici in cui la distorsione, ottenuta da pedali pigiati all’unisono, provoca un headbanging ondulatorio, e psicotropo, che ci catapulta in un’altra dimensione. Come un fiume inarrestabile arrivano Isolation e So Paranoid, l’immancabile Dope Feels Good, accolta da un ruggito mostruoso del pubblico, è puro delirio figlio di Timothy Leary. Stickman Blues e Hurricane Heart Attack decretano una supremazia schiacciante: la band appare perfettamente a suo agio con le progressioni ipnotiche che definire magiche è un assoluto dovere da parte di chi scrive. Dopo neanche un’ora Bobby inizia la sua danza di corteggiamento con il pubblico lasciandoci per ben tre volte. Richiamato con tenacia dagli astanti, ormai in visibilio, eccolo rientrare e distribuire birre a nastro, il numero dei bis sale a cinque: l’inedito Eyes Jam, una lenta ballata melodica, seguite dalle sognanti Zombie Like Lover e dalla muscolare You Make Me Wait, potente brano dalle accordature aperte in un’esplosione di vibranti suoni policromatici. Gli sferraglianti suoni cosmici, esplosi dagli amplificatori, stimolano i sensi legati alle sensazioni cinestesiche producendo brividi e reazioni forti, stimolando le ghiandole atte a secernere endorfine capaci di estasiare la mente.
In una parola? Titanici.
Articolo del
11/12/2010 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|