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In questa serata fredda il Circolo offre in apertura i Viva Santa Claus, band che dorme con i dischi dei Kyuss sotto il cuscino. Non posso trattenermi dal sottolineare che la formazione, innamorata dello stoner/punk, in questo contesto sembra davvero fuori luogo. Dovrei aggiungere, ad onor del vero, la mancanza di originalità del trio che però non è neanche da segare in tronco. Nelle parti strumentali si fanno apprezzare mentre le liriche, ahimè, non giocano affatto a loro favore. Ma evitando di insistere sui gusti personali del sottoscritto passo agli headliner.
Mi aspetto di trovare il cantante dei Can e c’è, poi Gabrielli e c’è pure lui e il solito, si fa per dire, Iriondo che è il primo a salire sul palco, accomodato dietro le sue diavolerie elettroniche. Quello che non m’aspetto è Manuel Agnelli, una mosca bianca (cadaverica), immersa fra i quattro e Cristiano Calcagnile vera sorpresa, a mio modesto parere, della serata. Il set imperniato sull’improvvisazione parte sulle note confuse, e dissonanti, del primo brano con Suzuki che entra dopo pochi minuti accolto da un boato. Oltre a sfoggiare una voce micidiale, il singer parte con il suo idioma totalmente incomprensibile. A furia di sentire quei versi, alla fine dei venti minuti, si ha la convinzione, idiota, di riuscire a capire questo linguaggio perverso. La voce è come una spada per Damo(cle), che taglia in due il silenzio arrampicandosi, sicuro, su un sentiero (noise) impervio. Più che un cantante sembra uno psicotico uscito dal quinto piano della neuro, ma la classe è a volte, come ben sapete, pericolosamente vicina alla follia. Suzuki è un tipo eclettico, cantante dei Can, collaboratore di nomi importanti come Acid Mothers Temple e Omar Rodriguez-Lopez, lo abbiamo spesso visto al fianco di Xabier Iriondo, musicista capace di scatenare un inferno con poche note. Forte di tutti quei progetti in cui si è ricavato un ruolo da leader, il chitarrista vanta la capacità di creare quel rumore potente e asfissiante, mai fine a sé stesso, che molti gli invidiano. Vederlo alle prese sulla stramba chitarra da tavolo è una meraviglia. Iriondo sfoga la sua furia attraverso biglie e spugne, mentre gira affannosamente manopole da cui sgorgano frequenze cacofoniche si ha la netta sensazione che sia avanti anni luce nella manipolazione del suono. In direzione totalmente opposta sul palco, come due rivali, Agnelli siede al synth, condividendo ancora la scena, come quest’estate, con il suo ritrovato collega. Quando suona usa il synth come uno strumento percussivo, quando non si annulla nascondendosi quasi al di sotto dello stesso strumento. In verità il divario tecnico con gli altri quattro appare evidente, ma Manuel sa come cavarsi dall’imbarazzo scegliendo poche note che, miste al flusso delirante creato da Gabrielli, creano un tappeto ossessivo. Ma è Cristiano Calcagnile l’uomo della serata, batterista poderoso e versatile che si accanisce sulle pelli con un’eleganza mostruosa. Si perde il conto di controtempi e cambi ritmici, nei momenti parossistici il drummer si produce in pirotecnici soli, intarsiati all’interno del brano, senza risultare ridondante né stucchevole.
Rumorismi, fiati impazziti, sezioni jazz non ortodosse e strutture blues affogate nel noise sono il menù in cui si sguazza per un’ora abbondante. Le atmosfere cangianti generate da un apparente caos appaiono sempre sotto lo stretto controllo del quintetto. Il cantato serpeggia sinuoso fra urla e vocalizzi. Nonostante sia stata una serata impressionante c’è da sottolineare che a 2/3 del concerto molte persone lasciavano la sala frastornate e spiazzate da questo genere di destrutturazione del song-like format ancora troppo ostica.
Articolo del
22/01/2011 -
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