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Pittore per passione, cantante per necessità, Gino Paoli da mezzo secolo regala al pubblico grande musica d’autore. Seppur conosciuto per famose canzoni d’amore confinate all’interno della cosiddetta musica ‘leggera’ le opere di Paoli, fin dagli esordi con il gruppo di amici di Genova, racchiudono in sé una fine ricerca presa a prestito dal cantautorato francese e della musica jazz che scopre e impara ad amare con lo sbarco degli americani. La cosiddetta musica leggera, da Modugno in poi, è una vera e propria espressione artistica innovativa, di rottura, rispetto alla tradizione musicale italiana precedente del bel canto. Grazie alle intuizioni di un illuminato discografico che lo pubblica, Nanni Ricordi, Gino Paoli fa irrompere nelle canzoni la quotidianità della vita, con uno stile fatto di toni dimessi eppure forti ed eleganti. Se si va oltre alle lievi sfumature che tratteggia nelle melodie si trova l’universo di un uomo in costante ricerca stilistica, umana e di senso.
Se agli esordi la tecnica era approssimativa, negli anni si affina sempre più come mezzo espressivo tracciando in note, testo ed interpretazione quello che Paoli ha sempre cercato di fare attraverso il mezzo pittorico: raccontare un mondo interiore, una visione della vita. Le pennellate di colori nelle tele, Paoli le trasferisce nelle sue canzoni per disegnare e raccontare spaccati di vita che diventano universali, a partire dai sentimenti e dall’amore. I live sono ogni volta una grande esperienza che rendono al meglio questa sua ricerca che ad ogni concerto si rinnova ed arricchisce con toni pacati e caldi che come un’onda ti avvolgono e ti accompagnano senza forzature ma incessanti. Il tour Storie è proprio questo: farsi cullare da placide onde con il tepore del quotidiano sulla pelle elevato da una struttura musicale che lo rende un momento speciale da gustarsi ad occhi chiusi. Per chi ama Paoli. Per chi vuole fermarsi dopo giornate frenetiche e regalarsi musica di classe che infonde tranquillità sospesi tra il mare e il cielo che Paoli porta sempre con sé.
In blu e giacca nera, con l’andamento dinoccolato di chi è abituato ad andar per carrugi e a ripararsi dai venti, entra in scena, nella splendida cornice del Teatro Filarmonico di Verona. Da bravo pittore dipinge 25 tele, su ognuna delle quali tratteggia un sentimento, un’idea, un momento di vita. Come gentleman di mare, schivo ma serafico, apre la porta di casa sua ad un teatro filarmonico tutto esaurito e accompagna il pubblico per le sue stanze interiori. L’apertura del concerto viene affidata all’autobiografico La gatta e mette subito il pubblico a parte di un’atmosfera intima e leggera, sottolineando però fin dall’inizio, seppur non in modo esplicito, che tutto si svolgerà come la sua carriera: alla ricerca non tanto di una cifra stilistica, ma di una specifica strada espressiva alla scoperta/ricerca della vita. Tra le canzoni in scaletta c’è un raro connubio di significante e significato di melodie che ti si attaccano addosso come la pioggia sui vestiti in un improvviso acquazzone estivo, e danno un ampio respiro a parole del quotidiano mai banali. I suoi concerti, come la sua musica, la sua vita, sono un costante, testardo elogio del dubbio, delle domande, persino dell’umano sbagliare e della diffidenza per chi ha risposte pronte e definitive: ‘Dare significa per me soprattutto dare domande. In questa vita sempre di corsa magari non ti accorgi neanche della persona che hai affianco.’ E parte al pianoforte una bellissima Perduti e anche il pubblico, che molto probabilmente arriva trafelato da una giornata di spostamenti in macchina tra traffico e semafori, lavoro e corse per andare ad un qualsiasi appuntamento, si ritrova nel testo che si risolve nello svelarsi di una nuova situazione data all’improvviso dalla scoperta dell’Altro. Nel tipico teatro all’italiana costruito nel 700, c’è un grande silenzio durante la performance per gustare ogni nota, ma al termine di ogni brano il pubblico esplode in un grazie con fragorosi applausi. Ed di nuovo si fa silenzio per il prossimo quadro di note. Gino introduce Sassi: ‘Il Mare è bello, il mare è brutto. Il mare è sempre nella mia vita. Il mare come unico lato dell’orizzonte quel lato dove si può andare con una barca, con la fantasia, la libertà. Il mare che ha fatto di me quello che sono, come ha fatto delle coste quello che sono, le pietre quelle che sono e che lui ha usato, ha consumato. Il mare è come la vita con quei giochi equivoci che sono le parole’. Con la sua classe ed eleganza si sposta sul palco tra i tappeti e si sposta tra una canzone e l’altra che ripercorre la carriera arrivando ad un esplosione con la partecipazione del pubblico in Sapore di sale perché, dice, ‘La canzone è un’arte povera ma ha il vantaggio che ‘diventa’, come fossero di proprietà di chi le canta, come un arnese per un artigiano. E alcune poi diventano altro e non sono più solo del compositore e del cantante. Ma diventano del pubblico’. Atmosfera intima e distesa. Nulla di urlato o di esibito. Solo proposto con garbo e rispetto. Con il suo concerto e la sue domande è riuscito a far fermare tutti, bloccati per magia dopo una giornata di corsa, attorno alla sua voce, alle sue sfumature, alle sue canzoni, come ad una pausa in una piazzola di sosta per ristorarsi un po’, come se un accidentale ingorgo nel traffico diventasse un’occasione per prendere una tregua dal caos. Al di là degli arrangiamenti più o meno orchestrali, della veste più o meno acustica o dei musicisti che lo accompagnano, tutta la sua musica ruota attorno alla sua voce, bellissima, espressiva, ricca di sfumature, moderna come poche. La usa e la sa appoggiare con una naturalezza unica e accattivante.
La serata si conclude con la sensazione di un arrivederci, di un discorso appena accennato da riprendere la volta successiva, con Senza fine, quasi una costante negli ultimi anni, con la sua magnifica melodia circolare e irrefrenabile. Paoli al pianoforte e Pidepalumbo alla fisarmonica. E resta nelle orecchie la lirica di un poeta che ricorda ‘La poesia non è quella che ha un titolo sui libri. La poesia è una maniera, un modo di guardare le cose, un modo di vivere, è una strana signora, un po’ matta, che non si sa quando arriverà, su una via di periferia che sembra sporca anche se è pulita, o che sembra bagnata anche quando è asciutta’.
Articolo del
11/02/2011 -
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