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In concomitanza con l’uscita di Glue, secondo disco dei Tribraco, ci presentiamo alla conferenza stampa, organizzata dalla Mega Sound. Questa pirotecnica band, tutta italiana, che nel giro di un paio di mesi ha visitato l’intero perimetro esterno degli Stati Uniti ha avuto l’onore di suonare con grandi nomi fra cui Mike Watt.
Già rei del precedente Cracking The Whip i nostri stasera si esibiranno in un quartetto con un elemento estraneo in sostituzione del bassista, Valerio Lucenti, momentaneamente infortunato. Apre la serata una one-man band che in pieno stile stomp-blues, come un John Lee Hooker de “noantri”, esegue i suoi brani con chitarra elettrica e cassa della batteria martellante. Nonostante l’ora tarda, i Tribraco salgono on stage senza nessuna fretta. Alle due chitarre in avanti (Gibson), una diavoletto l’altra Les Paus, flagellate da un’invidiabile serie di effetti, si affiancano il basso e la batteria, violentemente pestata da Tommaso Moretti. Sin dalle prime note ciò che fa paura è la padronanza tecnica e la totale assenza di esercizi di stile. Il quartetto conosce bene il mondo del jazz e del rock che scontrandosi con una forma di psichedelia, contenuta in nuce dalle take, sortisce un effetto potente ed estraniante. In pochi minuti i fantasmi di King Crimson, di Cannonball Adderley e John Zorn passano veloci come un’intera vita prima dell’ultimo respiro. Lorenzo Tarducci, chitarrista e mattatore assoluto della serata, riesce in ogni occasione a strappare sorrisi fra il pubblico totalmente rapito dalla personalità, e dalla musica, della band. I brani scelti vanno dal nuovo lavoro, da cui i nostri estraggono Warlock Road, Burlesque e Samtzai ai vecchi cavalli di battaglia The Human Cannonball e Salerno Reggio-Calabria. In pochi minuti i riferimenti al passato diventano cosi tanti da offuscare la mente, ammaliata dallo shock termico di questa musica. I “nostri” palesano la capacità di racchiudere, in pochi minuti, i viaggi fisici e mentali senza quella logorrea, a volte inutile quanto deleteria, che caratterizza alcune band legate al jazz. La sezione ritmica, inferocita, è puro piacere per chi è capace di apprezzarne il fine lavoro tecnico ma si lascia ascoltare con piacere anche da chi non mastica controtempi e “sincopi”. I brani, strumentali, sono guidati dalle due chitarre, a volte in loop e altre distorte, che viaggiano in sintonia per poi separarsi nelle partiture più rumorose, ma sempre attente a patlare lo stesso linguaggio fatto di wah-wah, distorsioni e fraseggi veloci. Sprazzi violenti di noise applicato al jazz nascono dalla dissonante improvvisazione che passa per la dolcezza di atmosfere alla Bill Frisell. Come avvolti da una colla trasparente, che le rende scintillanti e visibili, le loro soniche bordate producono un wall of sound a volte “insostenibile” altre particolarmente sognante.
In soldoni abbiamo assistito all’atterraggio di alieni sul palco del Brancaleone, una delle poche cose italiane di cui non vergognarsi al momento.
Articolo del
18/02/2011 -
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