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Vai a pensare mai che dall’incontro tra un punkettone tedesco e una chanteuse francese uscisse fuori uno schema metrico pizzicato da una ‘neurosi’ anime-manga fatta di canzoni sdrucciole dal tono immediato e popolare ma soltanto per recuperare la Berlino est dei tempi di Brecht. Uno split splash fra l’elettronica e il garage rock, le spastiche idiozie tedesche, la “Musique Automatique” e lo sperimentalismo dei Mouse On Mars pigiato da un plenilunio giapponese. Gli Stereo Total sono tutto questo da ben sedici anni. L’anemoscopio girevole di chi viaggia per mare, ramingo e in direzione globale e senza bandierina alcuna a marcare il territorio. I soli gagliardetti manipolati da Françoise Cactus e Brezel Göring sono dei voli pindarici ad incastro variabile che mischiano tedesco, inglese, francese, turco e spagnolo con la stessa naturalezza di un dettato registrato in una lezione di lingue. Sullo sfondo ci trovate dentro il pop dei 60’s, il punk-rock dei 70’s e la vulgata degli 80’s. La forza della formazione sta tutta qui, nella demenza immaginifica dei tempi andati e nella periferia kitsch della disco-music. Lo stesso andamento giocoso delle liriche è sempre rimescolato a livello digressivo-citazionale, fortificato da cortocircuiti di senso, omofonie e una intertestualità grottesca, parodica e irriverente. Geniali, la vera risposta pop all’industria dei prototipi, al tradizionalismo e ai soliti piattini intellettualistici camuffati sotto la moda del pattume inter-nazional-popolare.
Così, nel mentre dell’attesa, capita anche di ascoltare nella stessa serata il pop psichedelico dei Jolaurlo, formazione pugliese con in mano le carte per puntare alla vetta delle classifiche nostrane. Cantato italiano, modulazione alcolica e frastuono sintetizzato che sfoggia nella torsione della sezione ritmica l’espressione migliore. Ancora semi-sconosciuti ma con un curriculum di tutto rispetto, cioè l’onere della gavetta e l’onore di ‘supporto’ nei Festival a band come Police, Gogol Bordello, Siouxsie Sioux e Prozac+.
Poco dopo gli Stereo Total, ingrassati ed invecchiati ma di certo non inariditi, iniziano a spingere il tono della serata con lo spirito giusto e le maniche rimboccate. Puntano tutto sul ritmo modulato e cadenzato. “Abbiamo problemi con la tecnica” - dicono - “per questa ragione creiamo solo melodie”. L’ironia non è mai mancata a Brezel Göring e non può davvero importagli una ceppa di suonare per bene, perché se possiedi quel gusto morboso per i campionamenti, il mixer e gli effetti integrati, poco ci fai coi canoni nudi e puri del vangelo. Una batteria, una chitarra elettrica e un leggio possono correggere tutto il resto: la riconversione dei classici e l’arte dell’improvvisazione da palco. La scaletta si costruisce su logica e intuito. Françoise interpreta e alterna gli idiomi di appartenenza dei pezzi, scombinando tutto ciò che nella musica può essere re-impostato al di là delle ovvie differenze di linguaggio. A cominciare da Alaska, No Controles, Lady Dandy, I Wanna Be a Mama, gioiellini di punta dell’ultimo Baby Ouh (2010). Sermoni sulla vita pubblica, privata o di famiglia, poco importa. Handmade-dadaisti per gente toccata di testa che trafuga deliberatamente il trash dai film di John Waters, spezzettando l’underground culture di Andy Warhol (o Lady Gaga), La Barbe À Papa di Brigitte Fontaine e il concettualismo performativo di Wolfgang Müller. Il feticismo della tecnologia recupera i migliori esemplari discografici e sul palco serve come strumento per socializzare. Ben piantate all’ombra punk dei Kraftwerk sono Everybody In the Discotheque (I Hate), Miau Miau Wilde Katze, I Love You One, Milky Boy Bourgeois. Quando il duo berlinese sale sui propri cavalli di battaglia dà il meglio, interpretando un bagaglio culturale evidentemente voluminoso, con ventitré pezzi in scaletta. Già perché a quanto pare potrebbero suonare anche per sette ore di fila e non risentirne affatto. Per ovvi motivi di ‘sicurezza’, però, si bloccano dopo settanta minuti di live ma non prima di aver invitato il pubblico a salire sul palco. E allora diventa tutto abbastanza promiscuo e meno distante dal resto del mondo. Il funk de L’Amour A Trois, il delirio di Holiday Inn, lo scazzottamento di C’est la mort, e il cicisbeo di Ich Liebe Dich Alexander. Pressoché impossibile descrivervi l’atmosfera. De-vulgari-eloquentia? Low-fidelity? Concept-noise-music? Per utilizzare una sola espressione: Punk Rock Ist Nicht Tot. Traducetevelo da soli. Scusate il tedesco, perdonate l’ingarbugliamento di lingua, ma dimenticate il lessico che qui è tutto impossibile da trasporre. Quella sera, comunque, sotto la ‘curvatura tuscolana’, solo uomini giusti: meno male che c’è l’Init e in giro su disco gli Stereo Total.
Articolo del
04/04/2011 -
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