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Piccolo appunto iniziale: nonostante il concerto dovesse iniziare intorno alle 21.30 (il mio beneficio del dubbio mi ha portato ad aspettare pazientemente come consuetudine ormai fino alle 22.15 - 22.30, e meno male che Roma ci ha regalato una delle prime serate primaverili della stagione da cardigan e giacchetta leggera) i Crocodiles in formazione allargata spuntano sul palco inforcando le chitarre alle 23 spaccate.
Il Circolo degli Artisti a quel punto è gremito il giusto, la sala è colma di skinny jeans e magliette scollate allineate a pinte di birra chiara che aspettano solamente il primo accordo per dare il via alla serata; i due coccodrilli californiani salgono sul palco per ultimi, dopo la tastierista, la batterista ed il bassista e si parte subito forte, a seguito di qualche saluto fugace al pubblico sfoggiando alcune parole in italiano, con la splendida Sleep Forever e l’adrenalinica Billy Speed inframezzate da rifornimenti costanti di birra da parte del cantante Brandon Welchez con i suoi ormai distintivi Ray-Ban Wayfarer. E qui si aprirebbe un capitolo a parte sul frontman, con un’attitudine punk tra movenze alla Joe Strummer e le urla alla Johnny Rotten, un vero animale da palco che regge benissimo la scena, molto più attento però all’ inclinazione da maledetto che a mantenere linee di voce ordinate: sputi per terra, sorsi di birra, atteggiamenti e versi da iena ridens fanno parte del suo repertorio. Da lodare anche il dissennato utilizzo di chitarre aggressive da parte del secondo coccodrillo Charles Rowell in grande spolvero, sempre in primo piano con quel suono sporco,malato e distorto che li ha portati sulla cresta dell’hype come una delle band più sorprendenti dello scorso anno, tanto che dopo un poker di canzoni gronda già sudore da tutti i pori. Fino a questo punto il pubblico si limita ad un headbanging a tempo, a dire il vero ancora un po’ freddo rispetto all’ energia sprigionata dal palco, ma è con un terzetto di brani catchy come Hearts Of Love - Summer Of Hate - Mirrors, in cui anche il frontman brandisce la chitarra e la tastierista appoggia la sua voce nei coretti, che sotto il palco ci si incomincia a dimenare con vigore. I Crocodiles sembrano essere padroni della serata, sicuri dei propri mezzi e della chitarra di Charles che tallona ogni movimento di Brandon (in Summer Of Love da sottolineare anche una batteria che procede incessante ed allo stesso tempo diligente). Ma il momento più empatico - passatemi il termine - arriva con I Wanna Kill: tra tastiera e chitarra imbrattate, le urla da iena ridens di Brandon mandano in estasi il pubblico con una prolungata interpretazione punkeggiante del brano (forse) più famoso, anche qui però con un non perfetto utilizzo della voce, ma chissenefrega. Dopo essere usciti, i cinque coccodrilli californiani rientrano per un paio di brani tra cui la semiballata-psichedelica Hollow Hollow Eyes, l’unico brano dream-noise in scaletta stasera, per poi sparire definitivamente tra le luci ed il fumo in meno di tre quarti d’ ora totali di stage.
La curiosità che più mi assaliva prima del concerto era cercare di capire come il duo californiano sarebbe riuscito a convertire una tale risonanza dal disco (Sleep Forever, ma anche Summer Of Hate) alla dimensione live: la risposta è stata positiva, una capacità d’impatto estrema a livello di sonorità, mentre la voce di Welchez non sempre altrettanto riesce a reggere. Nella misura “on stage“ scompare quasi totalmente la sfumatura dream-pop/shoegaze (per scelte di scaletta) per favorire suoni più pop-garage con qualche sporcatura punk. Ed alla fine il pubblico se ne va, spettinato dall’onda d’urto dei Crocodiles.
Articolo del
01/04/2011 -
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