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Come tutti sappiamo, il metal non è riducibile ad un’unica, omogenea scuola di pensiero: c’è il lentaccio alla Metallica, ci sono le schitarrate ultra-radiofoniche degli Iron Maiden, il groove dei Pantera, la saga epico-bellica dei Manowar e quella tolkieniana dei menestrelli Blind Guardian; e, poiché de gustibus non disputandum est, ciascuno venera alcune band e ne snobba altre. Ma un nome in grado di mettere tutti d’accordo esiste. Dispute, personalismi e sofismi sono condannati a cadere miseramente, di fronte all’impressionante potenza di fuoco di Kerry King, Tom Araya, Dave Lombardo e Jeff Hanneman, per tutti Slayer. Anche i metallari più prudenti, dediti alle sonorità hair o gothic, non si fanno scrupoli nel riconoscere la valenza intrinseca dei quattro profeti della Bay Area; la critica musicale, oltre a certificare l’enorme influenza che gli Slayer hanno avuto sulle generazioni successive (in particolare grazie a Reign In Blood), gli riconosce il merito di essere riusciti a sperimentare, senza mai, mai e poi MAI cedere alla tentazione di... ammorbidirsi un po’, come sembra essere di moda fra tanti loro contemporanei, un po’ spompati da età anagrafica e maturità umana. Alzi la mano chi ricorda una ballad o un pezzo anche solo vagamente commercializzabile, firmato Slayer. Bravi, appunto: non esiste.
Come tutti gli artisti estremi, anche gli Slayer devono pur suscitare scandalo e dibattito: in questo caso, da una parte troviamo schierati il Movimento Italiano Genitori e i suoi corrispettivi internazionali, buona parte delle autorità religiose di tutto il globo e di tutte le confessioni, e il solito Club dei Moralisti Anonimi, che vorrebbero vederli ardere sul rogo come le streghe ai tempi di Torquemada (per chi non ne fosse consapevole, i nostri prodi dal sound belluino e l’anatema facile nei loro testi sguazzano con entusiasmo tra guerre, sangue, crimini contro l’umanità e altre amenità simili, pur smentendo indignati le accuse di ideologia nazi-satanica, soggetto sul quale proclamano un interesse puramente accademico); dall’altra, i fan che, ampiamente persuasi dalle argomentazioni della band (di cui la più convincente sono senza dubbio i riff supersonici di Kerry King), se ne infischiano e pogano beati. Come puntualmente avviene anche domenica 3 aprile all’Atlantico, quartiere Eur, dove i fan romani e non solo si apprestano a trascorrere una tranquilla e rilassante serata in compagnia di King&Co. per la prima data italiana dell’European Carnage Tour.
Ad affiancarli troviamo niente meno che i Megadeth, o meglio, il buon Dave Mustaine e l’ennesima formazione diversa a cui è riuscito ad appioppare lo stesso nome. Anche il termine “Megadeth” è infatti scolpito a caratteri cubitali nella storia del metal; ma MegaDave, ex Metallica, ne è di fatto l’unica costante. Così come costanti sono i suoi litigi furibondi con mezzo mondo musicale, tra cui gli stessi Slayer: si presume che, almeno per il Carnage Tour, abbiano firmato una temporanea tregua dalle ostilità. Se poi Kerry e Dave si siano picchiati di nascosto nel backstage, non lo sapremo mai.
L’onore di aprire cotanta serata spetta agli italianissimi Sadist, un nome che pesa nel metal tricolore: a conferma del loro valore, non si lasciano intimidire e si esibiscono in un concerto che non ha nulla da invidiare a quelli degli insigni colleghi presenti. Forma invidiabile anche per i Megadeth, che ripercorrono buona parte della loro lunga carriera, dalle molteplici evoluzioni. E’ pur vero che Dave Mustaine resta sempre un tipo di poche parole, e non interagisce granché col pubblico. Ma chi se ne importa: alla fine, In My Darkest Hour e A Tout Le Monde sono sempre bellissime, Hangar 18, Headcrusher e Sweating Bullets un terremoto sonoro, e il finale con Symphony Of Destruction e Holy Wars già varrebbe il prezzo del biglietto. E’ la musica che conta, le chiacchiere lasciano il tempo che trovano.
Avrebbe forse qualcosa da dire in proposito il vocalist degli Slayer Tom Araya, che sfodera qualche frase in discreto italiano nelle presentazioni, ma poi finisce per lasciare anche lui spazio alla musica e al pogo. Com’è giusto che sia. World Painted Blood è tratta dall’album omonimo, targato 2008, e qui anche il neofita inizia a capire il perché di tanta devozione: una band che, dopo trent’anni e undici album, tutti vissuti all’insegna del thrash metal più spinto, riesce ancora a tirare fuori dal cilindro una granata del genere, è da adorare, punto e basta. Si prosegue alla grande con Hate Worldwide, e poi via alla retrospettiva storica: Raining Blood, Black Magic, The Antichrist, War Ensemble, Seasons In The Abyss: se non conoscete questi titoli, non osate definirvi metallari, perché si tratta di alcune delle canzoni più influenti e monumentali dagli anni ’80 fino ad oggi. Se le chitarre della pluripremiata ditta King/Hanneman sono senz’altro la freccia più micidiale nella faretra degli Slayer, anche la voce di Tom Araya è qualcosa che, sentita una volta, non si scorda più: altissima, cattivissima, perforante, inarrestabile. Raramente lo si ode prodursi in qualcosa che somigli più a un cantato che ad un urlo, e una di queste occasioni è senz’altro Dead Skin Mask, pezzo lento ma terrificante per potenza e oscurità, e indubbiamente uno dei più bei capitoli della gloriosa storia slayeriana (nei pressi della nostra postazione, un ragazzo, evidentemente in preda a delirio mistico, si spinge a definirla “poesia”: visti i temi trattati, sarebbe interessante conoscere l’opinione di Gabriele D’Annunzio o di Filippo Tommaso Marinetti al riguardo). Un salto nel presente con Americon, e infine l’apoteosi di Angel Of Death; tentare una descrizione di ciò che sta avvenendo sotto il palco sarebbe pura utopia, lasciamo pertanto all’immaginazione del lettore (ci segnalano che, nel marasma più assoluto, qualcuno si è anche divertito ad arraffare cellulari e portafogli). Gli Slayer ci salutano dichiarando di volerci rivedere presto, il che conferma l’indiscrezione, circolata nelle ultime settimane, che a luglio saranno nuovamente in Italia, a Rho, insieme agli altri tre quarti dei “Big Four” del metal: Megadeth, Anthrax e Metallica. Da non perdere.
E’ il metal, bellezza: si può usarlo come capro espiatorio per tutto quello che accade al mondo, dimenticando che siamo dotati di libero arbitrio, e che a decidere di commettere delitti e violenze è sempre e solo l’uomo, non di certo la musica; oppure si può scegliere di viverlo serenamente, leggendo, anche in pezzi così estremi e disturbanti, nulla più che una riuscitissima rappresentazione della guerra quotidiana che dobbiamo combattere per sopravvivere. Qui non c’è musica di sottofondo, non c’è relax, non ci sono riempitivi: gli Slayer funzionano perché scioccano e colpiscono duro, perché loro e la loro musica non accettano compromessi, perché quei pezzi sono sì dei cazzotti nello stomaco dell’esteta e del qualunquista, ma quanto sono spudoratamente veri! Eccola lì la magia oscura di quei riff che mettono più brividi di cento film horror, ecco l’energia incredibile che si sprigiona da quegli uragani sonori. Ecco perché, se vi ascoltate un pezzo – qualsiasi pezzo – degli Slayer la mattina appena alzati, tenete la depressione lontana per sei mesi. Eccolo il vero messaggio del metal: nessuno può dirvi come vivere la vostra vita... ma, comunque sia, vivetela sempre al massimo volume. A volume assassino.
Articolo del
06/04/2011 -
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