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E’ un live asciutto, senza troppi trucchi o effetti speciali quello degli Amor Fou, fatto di canzoni, spesso belle, ben suonate, e che riesce a lasciare un segno con la forza di architetture efficaci, dai tratti forti ma in comunque alla fine in equilibrio, anche quando tendono la corda della “melodia” ariosa quasi al limite. Ma è una corda che non cede mai, anche grazie a liriche che riescono nell’impresa non facile in Italia di raccontare storie, fatte di personaggi reali e immaginari, ma con una forza evocativa epica e quotidiana allo stesso tempo.
Il gruppo si presenta sul palco del Circolo degli Artisti verso le 22.25, con un quasi un’ora di ritardo rispetto all’orario previsto anche per dare modo alla sala di riempirsi visto che alle 21.30 solo qualche decina di persone era presente sotto il palco. Quando si accendono le luci sul palco e i 4 Amor Fou prendono posizione, ci saranno circa duecento persone, non tanto da riempire il locale, ma è un tifo attento e soprattutto molto eterogeneo con spettatori di diversa anagrafe, anche se prevalentemente ragazzi sotto la trentina. L’attacco è affidato ad una praticamente acustica II mondo non esiste, tratta dall’ultimo lavoro del gruppo, I moralisti, disco carico di immagini anche forti di questo paese, dei suoi drammi morali e amorali, pubblici e privati. E’ un pezzo all’apparenza leggero, ma in realtà molto intenso, dalla linea melodica bella e ariosa, eseguito in punta di chitarra acustica, ma con una precisione che comunque non gli toglie il giusto pathos che già si percepiva sul disco. Il disco soprattutto di De Pedis, il brano successivo in scaletta, che racconta con tinte fortissime, al limite del noir da “romanzo” ma romanzo nero, appunto criminale, la storia del bandito della Magliana, Renatino De Pedis, noto come il Dandy. Brano che alla sua uscita scatenò ire e polemiche a non finire, anche di personaggi pubblici, tra i quali il sindaco di Roma Alemanno, sull’opportunità e il rischio di dipingere con tinte “positivamente romantiche” il ritratto di un criminale assassino. “Un brano che potrebbe andare contro le regole”, viene infatti presentato da Alessandro Raina, voce e chitarra del gruppo e autore praticamente di tutti i brani. Ma la di là delle polemiche e dei giudizi morali, il pezzo è di una forza assoluta, drammatico e potente proprio nel suo tratteggiare senza remore lo sguardo a ritroso del Dandy con cinica, fredda e malinconica crudezza: “arrivederci Roma scusa se, ti ho ricordato che si muore... arrivederci giovinezza mia, Trastevere di brutte cose”. E sei lì, in un attimo, tra i vicoli di Roma, braccato, spietato, magari con gli occhi lucidi. Il pezzo successivo Filemone e Bauci, è un ritratto dal sapore neo-realista, che sa di piazze svuotate e di rivoluzioni perdute, suonato e cantato con riferimento evidente ad un certo Battisti soprattutto nel pungente ritornello.
In questi primi tre brani c’è già tutto il mondo degli Amor Fou, capaci dal vivo di essere altrettanto credibili di quanto lo siano su disco (e il già citato I moralisti è davvero un gran disco, più del pur buon esordio La stagione del cannibale), bravi nel trasportare i pezzi del live asciugando eventuali aggiornamenti più complessi realizzati in studio, senza venir meno all’essenza del pezzo e soprattutto con una performance di buon livello, senza strafare ma anche dimostrando di saperci fare (per quanto qualche rischio di più nel tradurre le versioni dal vivo di alcune canzoni, si sarebbe potuto correre; ma non si può chiedere troppo e tutto, e soprattutto tutto insieme ad una band ancora giovane e che in ogni concerto ci conquista evidentemente il proprio pubblico). Bravo Reina, che non sbava quasi mai, essenziale ma pregevole il lavoro alle chitarre di Giuliano Dottori, e dinamica e funzionale ad ogni circostanza la sezione ritmica, con Leziero Rescigno alla batteria e Paolo Perego al basso. Gli Amor Fou sono insomma, un gruppo che suona davvero, che fa sentire ritmiche, assoli, cori e controcanti, e che non è solo bravo ad “assemblare” suoni e volumi in studio. C’è soprattutto in questi Amor Fou, anche dal vivo, l’idea forte di raccogliere tanta eredità della musica italiana contaminandola con tendenze più moderne sempre italiane (dai Baustelle, ai Giardini di Mirò, ai La Crus) e con molti riflessi pop internazionali (e qui si potrebbe partire dai Coldplay, sporcati di new wave, fino magari a certi Radiohead meno sperimentali). Certo è che le devianze elettroniche del primo lavoro della band, La stagione del cannibale, sembrano dimenticate a favore, anche dal vivo di una performance decisamente più suonata, dove le chitarre tessono le trame, e i tappeti di organo e i riff di tastiera o piano puntellano melodie e riff. Se un appunto si può fare a questa nuova direzione intrapresa, forse è il rischio di sfiorare in certi momenti un eccessivo immergersi nel melodico, nel voler a tutti i costi premere sul tasto dell’emozione facle, e dell’occhietto umido che certe soluzioni armoniche e melodiche agevolano e suggeriscono quasi inevitabilmente.
Detto ciò la scaletta prosegue con molti brani ovviamente da I moralisti (Cocaina di domenica, ironica e amara disamina di certo perbenismo borghese da quattro mura, dal sapore di Baustelle), Peccatori in blue jeans capace di richiamare echi di beat ma calati in un anticonformismo da Anni Zero, Anita, tra suicidio, amore omosessuale al femminile ed esplosioni pop elettriche. Non mancano poi almeno tre interventi strumentali, dirompenti ( e presenti anche sul disco) con lo stesso Reina e la chitarra di Giuliano Dottori che dettano trame al limite del noising, a tratti straniante rispetto agli squarci melodici di quasi tutta la scaletta, ma a ben vedere in perfetta sintonia con il lato oscuro che le storie degli Amor Fou sempre raccontano e provano a fotografare. Due i richiami dalla La Stagione del Cannibale: Cos’è la libertà e La convinzione, mentre viene ripresa anche Il ticinese che invece faceva parte dell’E.P. Filemone e Bauci, pubblicato nel 2009.
Detto anche dell’esecuzione di un brano inedito, che Reina racconta sul palco, avrebbe dovuto partecipare a San Remo (...) il concerto si chiuderebbe dopo circa un’ora dall’inizio. Un po’ pochino per il pubblico presente che giustamente chiede al gruppo di rientrare in scena per qualche bis. C’è spazio oltre che per la già citata La convinzione, per la bellissima Le promesse (brano che insieme a De Pedis si contende la palma di pezzo migliore dell’ultimo disco e anche del concerto) e per il finale di Dolmen, che dirompe tra cori, batteria e tempo di marcia e un grido all’unisono di rabbia contro un’ identità tormentata (“ah se io fossi meno io, ah se tu fossi meno tu”) e con un grido disperato che Reina urla senza microfono, a voce viva, verso il pubblico del Circolo: “ah se noi fossimo almeno noi”.
Dopo meno di un’ora e mezza si va tutti a casa , quindi, convinti che gli Amor non hanno deluso e che di questo passo e mantenendo sempre questa ispirata vena, avranno ancora molto da dire.
Articolo del
11/04/2011 -
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