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Molti anni fa recensimmo su queste pagine un’esibizione di Mascis descrivendo impietosamente l’aspetto del musicista: una nonnetta attempata che aveva offerto una bella performance, viziata dalla propensione all’“assolo sbrodolato” (beh, non una novità per i fan). L’intensità delle canzoni affidate ai solchi dei dischi dei Dinosaur Jr. non era però riproducibile suonando da soli su un palco, e la veste elettroacustica data ai brani (tendente alla deriva rumorista) non rendeva giustizia a tante composizioni indimenticabili scaturite dalla penna del talentuoso chitarrista di Amherst.
Stesso discorso, a voler essere obiettivi, per i concerti di Bob Mould in versione solista (troppo trasporto, Bob: perdi le sfumature di alcuni dei gioielli che ci hai donato nel corso della tua lunga carriera, e tanti pezzi degli Hüsker Dü eseguiti con la Fender iperdistorta, senza l’accompagnamento di una band, risultano quasi inascoltabili).
Ma stiamo divagando.
Mascis invecchia male: a incontrarlo su un autobus, con i capelli bianchi lunghissimi, gli occhialoni e la pancia pronunciata, si rischierebbe di cedergli il posto (sarebbe una gaffe niente male). La musica che propone rimane invece di altissimo livello, e stasera J. conferma il suo status di icona della musica indipendente americana degli ultimi vent’anni e passa. Piazzatosi sul palco con una chitarra acustica, dalla quale, grazie alla pedaliera, scaturiscono spesso ondate di note distorte, l’artista offre ai presenti un set in cui spazia dagli esordi del Dinosauro (ma perché scegliere sempre Repulsion trascurando una perla come The Leper?) alle canzoni dell’ultimo album, alternando pezzi malinconici e composizioni piene di brio. L’accoglienza calorosa del pubblico è riservata soprattutto ai brani di Green Mind (The Wagon, Flying Cloud), per chi scrive, il capolavoro del gruppo, e di Where You Been (Get Me, Not The Same).
Le perplessità a cui accennavamo in apertura, legate alla rilettura solista di alcuni classici dei Dinosaur Jr, rimangono, ma non potremmo lamentarci se non fosse per gli assolo, che talvolta rendono la performance sfilacciata, e che alla lunga diventano noiosetti. Tanto di cappello al Mascis touch, ma esecuzioni del genere, che potrebbero avere senso nell’ambito di una jam col resto di una band, così si trasformano in momenti di onanismo chitarristico non esattamente affascinanti.
Chiudiamo la recensione con un sentito ringraziamento ai numerosi avventori che hanno chiacchierato del più e del meno per quasi tutta l’esibizione. Ammutoliti dagli improvvisi assalti sonori della sei corde di J., loquaci per il resto del concerto, quando la verve delle canzoni si spegneva per lasciare il campo a momenti più intimisti. Due di queste persone amabili le avevamo già individuate all’ingresso: valutavano se entrare o meno. “Mascis... Ma chi è?”; “Chette frega? Entramo, se famo ’na bira e poi se ne annamo”. Ecco, appunto...
Articolo del
20/04/2011 -
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